tag:blogger.com,1999:blog-59354189820925177332024-03-13T10:21:45.511-07:00Leva calcistica classe '78esempi semiseri di scrittura sportivaeddiehttp://www.blogger.com/profile/02541254803999319081noreply@blogger.comBlogger48125tag:blogger.com,1999:blog-5935418982092517733.post-81871259191815526272012-03-02T09:05:00.015-08:002012-03-05T05:19:32.990-08:00Diario del tifoso eterno (Parte III: Solo con i tuoi occhi)<a href="http://3.bp.blogspot.com/-Y19zv9QvkYU/T1EAMzYoKZI/AAAAAAAAAJc/H5Tul_UMWs8/s1600/Ernesto_Sabato_circa_1972.jpg" onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}"><img style="display:block; margin:0px auto 10px; text-align:center;cursor:pointer; cursor:hand;width: 200px; height: 188px;" src="http://3.bp.blogspot.com/-Y19zv9QvkYU/T1EAMzYoKZI/AAAAAAAAAJc/H5Tul_UMWs8/s200/Ernesto_Sabato_circa_1972.jpg" border="0" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5715349622061803922" /></a><div style="text-align: justify; ">Di tutte le volte che ho tradito, la più avventurosa fu sotto la bandiera blu e rosso granato, non tanto per lo scoramento che mi invase dopo aver abbandonato i confratelli di Francis-Le Blé, quanto perché mi condusse a un approdo inatteso, come se il destino avesse voluto ricambiarmi con la mia stessa moneta fedifraga. Fu come se mi dicesse, bene, ho capito che il tuo girovagare è una strategia per truffarmi, ma non credere che io non presenti il conto lo stesso, e così accadde che mi ritrovai per la prima volta senza direzione, come un turista a cui qualcuno si sia divertito a capovolgere i cartelli stradali.</div><div><div style="text-align: justify;">In origine, come tutti, fui ammaliato dalla morbida tirannia calcistica di cui il Barcellona avvolse il calcio europeo per almeno un lustro. Le agiografie sono copiose, basterà qui ricordare l’ininterrotto fraseggio, il sistema di gioco sviluppato fin dalle giovanili, i ricami che impreziosivano il gioco di attacco. La mia generazione, ansiosa di assicurarsi un frammento di eternità, proclamò l’argentino Lionel Messi il più grande giocatore di tutti i tempi. In breve tempo si moltiplicarono gli emuli, una squadra italiana, la più sensuale, fu scelta per replicare con un esperimento, che solo molto tempo dopo ebbi l’ardire di definire virale, lo stupefacente modello catalano.</div><div style="text-align: justify;">Trovai lavoro di contrabbando in una farmacia (portavo i farmaci a domicilio, come se si trattasse di insalate) e quanto guadagnato mi bastava per pagarmi l’affitto di una stanza vicino al Camp Nou, in una traversa di Avingùda de Madrid. Arrivai in tempo per celebrare la vittoria dell’ultima Liga, in cui furono più volte umiliati i rivali del Real, e per assistere alla spaventosa dimostrazione di classe esibita nella finale del Campionato Europeo contro gli inermi -quella sera- inglesi del Manchester United.</div><div style="text-align: justify;">Sul finire dell’estate, conobbi Alejandra. Per qualche strana ragione, Barcellona è considerata luogo privilegiato per iniziazioni e conoscenze carnali, quasi si volesse rimuovere, confinandola in un unico punto, la banale constatazione che le tenaglie del desiderio stringono a loro insindacabile capriccio, incuranti della varietà -e ancor più dell’opportunità- dei contesti. Alla luce degli eventi che seguirono, mi sono formato un’idea in parte diversa, per cui la fama cordialmente orgiastica della città catalana potrebbe essere il riflesso di una precisa strategia volta a commerciare il sesso (e il calcio?) come gioco, senza desiderio e, verrebbe da dire, senza attrazione.</div><div style="text-align: justify;">Alejandra era sia bella che intelligente, cosa inconcepibile per le intelligenti. A volte, mi imbarazzava andarci in giro, perché le sue tattiche di abbigliamento erano studiate con la stessa minuzia di chi costruisce navi in bottiglia, solo che lo scopo ultimo era scatenare una reazione di autentico panico, misto ad angoscia, in chi avesse la ventura di passarle accanto, in metropolitana come nelle <i>pulperie</i> di Carrèr de la Mercé, dove passavamo interi pomeriggi a dilungarci davanti ai crostini con le acciughe e al fritto di orecchie di porco.</div><div style="text-align: justify;">Ma ben più temibile della sua vocazione a sedurre, e forse in qualche modo a essa stranamente legata, era la fermezza con cui si proponeva di distruggere, con dialettica serrata e pensiero tutto femminile, Barcellona, e soprattutto il Barcellona, come fenomeno superficiale di una più ampia concezione del mondo.</div><div style="text-align: justify;">Alejandra era tifosa, anche se forse la parola più esatta sarebbe dedita, dell’Espanyol. Della squadra minore di Barcellona, di cui io prima di allora neppure consideravo l’esistenza, seguiva tutte le partite, in casa come in trasferta. Sebbene si sia sporadicamente affermato nella Copa del Rey, l’Espanyol non è di certo motivo di particolare orgoglio per i suoi tifosi, e ancor di meno lo era in quegli anni in cui non riusciva a sollevarsi dalle secche di una classifica medio-bassa.</div><div style="text-align: justify;">Nulla la faceva infuriare di più della mia infatuazione per il Barcellona, e rifiutava con sdegno ogni argomento che derivasse dalle evidenti e plastiche abilità dei campioni del mondo. In una delle prime domeniche del campionato, mi convinse a seguirla al Cornellà-El prat, per vedere un qualche malaugurato Espanyol-Real Zaragoza. La partita, per me che venivo dalle pirotecnie del Camp Nou, fu di una noia mortale. Non succedeva niente, le squadre sembravano bloccate, incapaci di creare azioni o di abbozzare una trama di gioco dignitosa. Ci fu quella sera soltanto una cosa sconvolgente, il modo con cui Alejandra seguiva la partita, la compassione e il piacere quasi fisico con cui avvertiva le vibrazioni di uno spettacolo sportivo deludente ai miei occhi, ma straordinariamente intenso ai suoi, o forse sarebbe più esatto dire alle sue narici e ai suoi pori, perché sembrava che lo assorbisse, come se si trattasse di aria o calore.</div><div style="text-align: justify;">Tornando dallo stadio, Alejandra assalì il mio disorientamento, contestando ancora una volta che si potesse anche solo concepire un sostegno per il Barcellona. “Chi te l’ha detto che allo stadio si va per divertirsi? E soprattutto, come puoi pretendere che ventidue persone che corrono per novanta minuti facciano di tutto per divertirti? Solo perché paghi il biglietto, dici, allora Barcellona è il posto giusto per te, paghi e ti svaghi, sulle <i>Ramblas</i> come allo stadio”. Provavo in tutti i modi a calmarla, ma i miei tentativi la sobillavano ancora di più. “Il Barcellona è come un libro di Cortàzar, un funambolismo verbale spacciato per esistenza. Tu non capisci niente di calcio, come del resto di letteratura, il calcio è dolore, è fatica, e il fiato avvilito che regge la mediocrità. Tu vai a vedere i giochini dei tuoi prediletti, io vado a sentire uomini sputare e ansimare, sai come starebbero meglio con una giapponese a massaggiarli in quell’ora e mezza?”. A nulla valse farle notare che la giapponese li avrebbe potuti massaggiare per tutto il resto del giorno.</div><div style="text-align: justify;">In quell’atmosfera di ostilità, l’accompagnai fino a casa sua, dove per la prima volta mi disse “sali”. Pensai che fosse l’inizio, adesso so che era la fine. Nell’intervallo brevissimo di quella notte, Alejandra mi riversò addosso la stessa furiosa ebbrezza, la stessa compenetrazione con cui aveva vissuto la partita dell’Espanyol, e nel buio nitido in cui la toccai per l’unica volta mi sorpresi a restituirle queste capacità sconosciute, arrivando fino al fondo del suo respiro, nei territori aspri e per nulla amichevoli della sua anima.</div><div style="text-align: justify;">La mattina dopo mi comunicò che non mi avrebbe voluto vedere mai più. Che andassi pure a divertirmi con qualche italiana sulle <i>Ramblas</i> o a una partita al Camp Nou. Per mesi vagai per Barcellona senza meta e senza speranza, cercando di comprendere cosa mi fosse successo, tornando con la mente ai fasti del Barcellona e agli stenti dell’Espanyol, a quella notte indimenticabile, all’oscuro riferimento a Cortàzar, che pure tanto avevo amato.</div><div style="text-align: justify;">Ho appreso che Alejandra porta lo stesso nome del fiammeggiante personaggio di “Sopra eroi e tombe”, il romanzo di Ernesto Sàbato. Lo lessi di un fiato, come per incontrarla ancora una volta, tanto fui sicuro della sua identificazione nell'inafferrabile vagabonda di Buenos Aires. Cominciai a seguire le partite dell’Espanyol, le magre sconfitte, i pareggi sordidi, cercando quello che intravidi attraverso Alejandra, il risvolto oscuro, la materia affamata, la volontà trattenuta e inesplosa.</div><div style="text-align: justify;">Per ironia della sorte, quell’anno il Barcellona cominciò a manifestare qualche crepa nel suo progetto di effusione calcistica, e se oggi potessi parlare ad Alejandra le direi che aveva ragione, che i miei occhi erano ciechi e la mia pelle occlusa, che niente è più orribile del matrimonio tra potere e bellezza, ma che se un <i>dribbling</i> (o un avverbio) possono non condannare Barcellona e il Barcellona, ciò avverrà solo quando sarà per riscattarlo dal declino, per sollevarlo un istante dalla dannazione e dalla sconfitta.</div></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>Arturo</i></div>Unknownnoreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-5935418982092517733.post-33473075148987520972012-02-07T03:17:00.000-08:002012-02-08T07:39:26.406-08:00Diario del tifoso eterno (Parte II: Stade Brestois 29)<a href="http://4.bp.blogspot.com/-RAQxM8-ujSo/TzEImJBMF_I/AAAAAAAAAJQ/dBS_wwJ_Dls/s1600/benodet.png" onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}"><img style="display:block; margin:0px auto 10px; text-align:center;cursor:pointer; cursor:hand;width: 200px; height: 200px;" src="http://4.bp.blogspot.com/-RAQxM8-ujSo/TzEImJBMF_I/AAAAAAAAAJQ/dBS_wwJ_Dls/s200/benodet.png" border="0" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5706351654204086258" /></a><div style="text-align: right; "><i><span class="Apple-style-span" style="font-size:85%;"><br /></span></i></div><div style="text-align: right; "><i><span class="Apple-style-span" style="font-size:85%;">“Essere primi mi sta sulle palle, ma godiamone senza limiti”</span></i></div><div><div style="text-align: right; "><span class="Apple-style-span" style="font-size:85%;">Alex Dupont</span></div><div style="text-align: justify; "><br /></div><div style="text-align: justify; "><br /></div><div style="text-align: justify; ">A fregarmi la seconda volta è stato il biliardo. Non nel senso del biliardino, sport peraltro di eccelso lignaggio, ma il biliardo vero e proprio, quello che si gioca coi birilli e le stecche.</div><div style="text-align: justify; ">Nei sotterranei siciliani abbondano corridoi illuminati di luce al <i>neon</i>, che si affacciano sulle cantine delle case. In ogni cantina si pratica un diverso gioco d’azzardo, l’attività non conosce soste, variano i partecipanti, ma ciascun siciliano che si rispetti sa che per astrarsi dalle noie del quotidiano basta suonare un citofono e scendere pochi gradini di una scala. Così rimette in moto la sorte; talora si affida alle carte, altre volte insegue le traiettorie delle biglie verso le buche o i cinque birilli disposti in croce, uno rosso centrale e quattro bianchi attorno, nella variante denominata “all’italiana”.</div><div style="text-align: justify; ">Durante una mia temporanea fuga dalla realtà -impareggiabile è il biliardo come strategia per marinare la scuola- mi capitò di ascoltare un discorso sul calcio tra i giocatori del tavolo accanto. Entrambi erano di origine straniera, poteva trattarsi di marinai di passaggio che qualche frequentatore del porto aveva indirizzato al biliardo per ingannare le ore dello sbarco. Uno di essi aveva un nome bizzarro che non riuscii a ben distinguere, il suono finiva in “elle”, fu proprio da lui che sentii per la prima volta parlare dello “Stade Brestois 29”.</div><div style="text-align: justify; ">L’anno precedente, lo “Stade Brestois 29” -o, più comunemente, il Brest- aveva suscitato il pigro interesse delle testate sportive francesi più accreditate. Una squadra di sconosciuti aveva condotto la classifica del campionato per tutto il girone d’andata, per poi declinare, come ovvio, nella parte finale della stagione.</div><div style="text-align: justify; ">Nell’anno in corso, si era molto parlato di un avvicinamento di Carlo Ancelotti alla panchina del Brest. Cosa avesse potuto spingere un allenatore di indubbia fama, vincitore di campionati nazionali e coppe europee, inventore di Pirlo, a considerare un’ipotesi di lavoro così marginale era appunto il tema della conversazione che seguivo da un tavolo all’altro nella penombra della sala da biliardo.</div><div style="text-align: justify; ">I marinai sostenevano che Ancelotti, uomo dalla curiosità inappagabile, fosse attratto dalle voci strane che circolavano intorno alla squadra, legata da un’assiduità quasi religiosa, se non familiare. Era noto che l’allenatore in carica, Alex Dupont, aveva imposto la regola della prima colazione comune e del doppio allenamento quotidiano a qualsiasi costo, anche nel mezzo delle severe tempeste che si abbattono sulla costa bretone.</div><div style="text-align: justify; ">A questa rigidità faceva da contraltare una libertà quasi complice lasciata nella vita di tutti i giorni: non era infrequente, nel racconto dei marinai, trovare i calciatori a bere birra con la gente del porto o a corteggiare le licenziose fanciulle locali.</div><div style="text-align: justify; ">Sebbene prodighi nelle cose terrene, i calciatori del Brest non si risparmiavano neppure in fatto di devozione, riconoscendo autorità spirituale assoluta al loro capitano, Oscar Ewolo, nativo del Congo, difensore e pastore protestante.</div><div style="text-align: justify; ">Doveva essere questo impasto di sensualità e spirito, unito al fascino di quei luoghi così estremi, delle rovine di Carnac, con le memorie druidiche e i crostacei succulenti, a destare l’interesse di Carlo Ancelotti.</div><div style="text-align: justify; ">Ma ciò che destò il mio di interesse fu il legame, anch’esso quasi religioso, che univa la tifoseria del Brest alla squadra. Per la verità, la parola esatta, ben lungi da unire, dovrebbe essere dividere: per quanto lo stadio Francis-Le Blé fosse rinomato per essere il più assordante dell’intero campionato francese (“un frastuono né animale né metallico, un rimbombo di vento piuttosto, sembra di giocare non sulle rive dell’oceano, ma già sopra, in costante rollio”, ebbe a scrivere un intimorito avversario), i tifosi del Brest tenevano un contegno assai singolare, che consisteva nel (non) assistere alla partita voltati, dando le spalle al rettangolo di gioco.</div><div style="text-align: justify; ">Sul significato esatto di questo comportamento sono stati versati fiumi di inchiostro, ma nessuna ricostruzione è apparsa finora esaustiva. Di certo, c’entra il disinteresse per il risultato, e anche per il bel gioco. Per il tifoso del Brest, il tifo non è il corrispettivo per la soddisfazione che dà una vittoria, e men che meno un fraseggio pittorico. L’approssimazione più esatta è forse quella che descrive il tifo per il Brest come un sostegno astratto, spinto anche al di là del suo oggetto. Questa fede illimitata, che si rivolge infatti all’esterno, verso il buio della costa e la vastità dell’oceano, ritorna per qualche strana ragione (forse neanche tanto strana, dal momento che nel più grande sta il piccolo) sulla scena occupata dalle azioni di gioco, dove i calciatori del Brest appaiono sobillati dalle anime della tempesta.</div><div style="text-align: justify; ">Cedetti senza opporre resistenza al fascino di quelle sirene. Nell’inverno gelido di quell’anno mi avventurai nelle steppe interne francesi, attraverso campi pieni di neve giunsi infine in Bretagna, in quel lembo di terra affacciato sull’oceano che è giustamente chiamato “le bout du monde”. La prima partita cui ebbi l’occasione di assistere fu Stade Brestois 29 contro Paris St. Germain. Per un caso bizzarro, sulla panchina del Paris St. Germain si sarebbe seduto proprio Carlo Ancelotti.</div><div style="text-align: justify; ">La storia del suo mancato arrivo allo Stade Brestois 29 è già parte del pingue <i>corpus</i> di leggende locali. Appresi in un bar nei dintorni dello stadio, dove fui iniziato ai rudimenti del tifo da un postino alticcio e forse strizzai l'occhio a una scollatura capiente, che la questione fu risolta, per così dire, da uomini. Alex Dupont invitò a cena Carlo Ancelotti in una <i>brasserie </i>sordida e squisita; i pochi giornalisti furono sbattuti fuori dal locale dal proprietario, pescatore e rugbista. Cosa si siano detti è oggetto di svariate congetture. Qualcuno sostiene che si siano sfidati a bere boccali di birra, oppure un liquore selvaggio di queste parti, argomentando dal passo malfermo con cui i due si sarebbero alzati dal tavolo nelle prime ore del mattino, ma forse sono solo dicerie di camerieri. Altri ventilano una rinuncia malinconica di Ancelotti, un arresto sulla soglia di un mistero che deve rimanere precluso.</div><div style="text-align: justify; ">Quella sera presi posto nelle tribune dello stadio (sebbene non ci sia alcuna differenza tra la tribuna e le curve, il Francis-Le Blè è “solo curva”, su questo fui istruito fin dal principio), voltai le spalle alla partita, e mi intonai a quel coro sincopato e profondo, aereo e ancestrale. Fin dal primo momento, il petto mi si riempì di una passione smodata, dimenticai tutto quello che c’era stato prima, e capii che sarei rimasto lì molto a lungo. Credo che la partita sia finita uno a zero per il Paris St. Germain, con gol di Bisevac al sesto minuto.</div></div><div style="text-align: justify; "><br /></div><div style="text-align: justify; "><br /></div><div style="text-align: justify; "><i>Arturo</i></div>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5935418982092517733.post-48460418970185275872012-01-09T11:10:00.000-08:002012-01-09T15:27:30.207-08:00Diario del tifoso eterno (Parte I: Magma e Cibali)<a href="http://2.bp.blogspot.com/-uPFZTkaijPM/TwtBn1yJlUI/AAAAAAAAAIs/GgV1vexRuzo/s1600/Etna_753-11-52-21-52851-300x275.jpg" onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}"><img style="display:block; margin:0px auto 10px; text-align:center;cursor:pointer; cursor:hand;width: 200px; height: 183px;" src="http://2.bp.blogspot.com/-uPFZTkaijPM/TwtBn1yJlUI/AAAAAAAAAIs/GgV1vexRuzo/s200/Etna_753-11-52-21-52851-300x275.jpg" border="0" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5695718306448250178" /></a><div style="text-align: justify; ">Devo questo continuo alternarsi di amori a un’insolita trattativa di mercato che si svolse nell’estate del 1998, subito dopo i mondiali di Germania. L’allora giocatore del Marsiglia, Zinedine Zidane, era il calciatore più rinomato del mondo.</div><div><div style="text-align: justify;">L’avventura mondiale non si era conclusa bene per i transalpini, sconfitti in finale da un’odiosissima Italia. In particolare Zidane, dopo aver tirato un rigore con un ghirigoro beffardo, abboccò a una provocazione e abbandonò il campo, forse per non assistere a un epilogo tanto volgare. I commentatori concordarono però nel ritenere memorabile, dei mondiali tedeschi, non la vittoria italiana ma l’esibizione di Zidane nei quarti contro il Brasile, in cui il giocatore di origini berbero/algerine sembrò <i>quasi lui solo sufficiente</i> per sconfiggere undici quotatissimi avversari, rivelando con magie autentiche, che sono quelle che non si vedono, l’inganno insito nell'ostentato palleggio dei sudamericani.</div><div style="text-align: justify;">A quei tempi, non avrò avuto più di otto anni.</div><div style="text-align: justify;">D’estate, insieme con gli ombrelloni, si aprì un’asta selvaggia tra le squadre più importanti del mondo. Il Real Madrid mise sul piatto, oltre al denaro, l’autorevolezza delle sue undici dozzine di Lighe, la Juventus i suoi (allora) cinquantaquattro scudetti. A lungo i giornali sportivi furono assediati da una snervante serie di annunci e smentite. Improvvisamente, fu lo stesso Zidane a porre fine a questa letteratura scadente, dichiarando in una conferenza stampa -ammantata oggi da un velo di leggenda- di aver raggiunto un accordo con il Catania.</div><div style="text-align: justify;">Zidane spiegò, con estrema franchezza, i motivi della sua decisione. L’esigenza che lo aveva spinto alla pendici dell’Etna era legata al suo secondo grande talento. Raffinatissimo percussionista, e studioso di ritmiche computerizzate, Zidane deliziava le platee dei bassi di Marsiglia da almeno un paio d’anni, con il suo gruppo chiamato “I dervisci rotanti” (“<i>Les derviches tourneurs</i>”). Suonavano nei locali che puzzavano di <i>bouillabaisse</i>, in cui la gente di porto si accalcava pianificando arditi traffici notturni. La loro musica era un impasto di generi che qualche critico musicale avveduto definì “artigianato sintetico”. L’aspetto più singolare era dato dal fatto che si trattava senz’altro di una musica da ballo, ma il pubblico rimaneva fermo, stranamente composto. Ciò risultò poi essenziale per comprendere l’estro calcistico di Zidane, che non ebbe mai timore di affermare che la danza è “questione squisitamente interiore” e che il movimento lo lasciava volentieri ai balletti dei teatri lirici. Catania, in quel periodo, rappresentava per l’Italia ciò che Marsiglia era per la Francia, la quintessenza di un <i>mood</i> mediterraneo, un crocevia di musicisti, donna splendida e angiporto. In un tripudio di rossazzurre stelle filanti, Zidane fu presentato dinanzi a un Cibali gremito.</div><div style="text-align: justify;">Capite bene che per un bambino innamorato del calcio, nato sulla costa ionica messinese, le buone regole dell’educazione volevano che si dovesse tifare per il Messina e che, se altre squadre erano contemplate, la deroga si giustificava solo per il gusto tutto locale di sottomettersi alle influenze colonizzatrici di volta in volta juventine, milaniste o interiste. Invece, di nascosto ai miei genitori, la domenica mattina, anziché recarmi al “Giovanni Celeste”, uscivo due ore prima per prendere il treno in una piccola stazione dietro il cui ultimo binario c’era solo la spiaggia, e snocciolavo come grani di un rosario tutti i piccoli borghi marinari che precipitano verso il canale di Sicilia, sotto l’ombra confidente del Vulcano e le siepi odorose dei gelsomini.</div><div style="text-align: justify;">Ciò che si prova andando allo stadio negli anni della giovinezza è un’emozione che non si ripresenta. A quel trasognato palpitare, tra formazioni immaginarie e prove tecniche di esultanza, si aggiunse per me il senso magnifico di un allontanamento, di una relazione adulterina e segreta. Zidane giocò un campionato straordinario, non si contavano le sue piroette, i lanci precisi, le traiettorie impensabili. L’allenatore del Catania disse che aveva del tutto rinunciato agli schemi: con la lucidità di un giocatore di scacchi, Zidane <i>creava</i> ogni volta lo schema, perché riusciva con il suo (falso, si chiarirà meglio ora in che termini) movimento a orchestrare la squadra, convocando i compagni di squadra sulla zolla esatta del campo, spostando il raggio dell’azione a ogni sua impercettibile finta.</div><div style="text-align: justify;">Intanto io fui iniziato da qualche capo <i>ultrà</i> ai panini ripieni di carne di cavallo, alla ricotta iblea servita con marmellata di mandarino. I miei occhi si scontravano coi muri di pietra lavica, seguivano nei vicoli fantasmi di pirati claudicanti, il fiato accelerava sui gradini dello stadio per raggiungere quel posto proibito, segno tangibile del tradimento.</div><div style="text-align: justify;">Partita dopo partita, compresi qual era l’assunto filosofico di Zidane. Noi siamo abituati a percepire il movimento soprattutto per gli spostamenti compiuti dal pallone, lanciato da una parte all’altra del rettangolo di gioco. Con la sua impareggiabile capacità di tenerlo incollato ai piedi, Zidane ne neutralizzava il dinamismo, realizzando, se si vuole, un gesto contrario all’essenza stessa del calcio. Il pallone rimaneva sempre fermo, a muoversi in realtà era il giocatore algerino, che creava coi suoi trucchi mille <i>possibilità</i> di movimento, disorientando i calciatori della squadra avversaria. Noi sugli spalti del Cibali <i>eravamo quel pallone</i>: fermi, sospesi in quell’incredulità, <i>danzavamo</i>, come impararono presto a fare nei locali sotto la via Etnea gli spettatori dei concerti di Zidane e del suo gruppo, che presto vantò collaborazioni con i più prestigiosi Maestri della scena musicale catanese.</div><div style="text-align: justify;">Il Catania restò in corsa per lo scudetto fino a poche giornate dalla fine, fino alla domenica di maggio in cui Zidane realizzò il suo capolavoro, superando anche la prova contro il Brasile.</div><div style="text-align: justify;">Quella domenica la luce della costa ionica sorse appannata. La polvere affaticava l’aria come un presagio, che non tardò a confermarsi nel primo pomeriggio, con la violenta eruzione del vulcano. La partita era importante, uno scontro diretto con la Spal se non ricordo male. I ferraresi, con una massiccia rimonta nel girone di ritorno, ambivano a una delle quattro posizioni che garantivano l’accesso alla <i>Champions League</i>. Tanta era la tensione che lo stadio quasi non si accorse del pericolo: i giocatori seguitarono a giocare e gli spettatori a urlare nella bolgia del Cibali, mentre il fumo si allargava nel cielo e gli scoppi divennero più intensi. La lava si aprì percorsi nuovi e scese minacciosamente verso il centro abitato. Noi la vedemmo entrare dai boccaporti dello stadio, dall’ingresso per la maratona, dal <i>tunnel</i> degli spogliatoi. I giocatori scappavano terrorizzati, aggrappandosi ai pali delle porte, i tifosi si ritrassero sulla cima delle gradinate. Zidane incurante continuò a giocare, il pallone attaccato ai piedi in quell’illusione di movimento. Scansò un rivolo incandescente con un doppio passo e disegnò una giravolta salvando il pallone dalle fiamme. In quel preciso istante, l’incedere della lava, agitato da fremiti ancestrali, si fermò, come ipnotizzato, nello stesso modo in cui lo fu il Brasile e lo fummo noi per tutta quell’incantevole stagione. Il magma si raffreddò nella contemplazione di Zidane, e nel sollievo generale si sentì qualcuno ipotizzare che quella forza oscura e cieca trattenuta in roccia non potesse più avanzare perché, adesso che era immota, dentro di sé <i>stava ballando</i>.</div></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>Arturo</i></div><div></div>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5935418982092517733.post-22115594977358757082011-11-20T01:41:00.000-08:002011-11-20T02:41:52.983-08:00Il gol più bello di tutti i tempi<a href="http://1.bp.blogspot.com/-Wl5r0LMKxiI/TsjMl3rXZ_I/AAAAAAAAAII/304sXJatFUY/s1600/messinanni80-300x191.jpg" onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}"><img style="display:block; margin:0px auto 10px; text-align:center;cursor:pointer; cursor:hand;width: 300px; height: 191px;" src="http://1.bp.blogspot.com/-Wl5r0LMKxiI/TsjMl3rXZ_I/AAAAAAAAAII/304sXJatFUY/s320/messinanni80-300x191.jpg" border="0" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5677012281273575410" /></a><div style="text-align: justify; ">Il gol più bello di tutti i tempi temevo di non rivederlo mai più, e di continuare a proiettarlo nella mia memoria, ogni volta apportando qualche falsificazione, fino a smarrirne del tutto i tratti e i contorni. Invece ieri, passeggiando pigramente negli archivi digitali, mi si è parato davanti come un’epifania, e mi sono reso conto che non è stato poi troppo diverso da come lo rimasticavo da sempre, aiutato dalla convivialità o da una bottiglia di vino, raccontandolo come un’apparizione fantasmagorica nei cantieri della mia infanzia.</div><div><div style="text-align: justify;">In sintesi, tre sono stati i momenti decisivi della mia educazione sentimentale e calcistica. Il primo mi vuole stregato davanti a un piccolo schermo in bianco e nero, a innamorarmi di Giancarlo Antognoni, tanto che ancora in qualche cassetto conservo alcune foto autografate, sue, di Daniel Bertoni e Daniel Passarella, in cui campeggia al centro della maglia un giglio enorme primi anni ’80. Così -quasi non camminavo- mi misi a tifare per una squadra che certo non giovò agli albori delle mie relazioni sociali, perché dalle mie parti era sconosciuta almeno quanto una compagine della seconda divisione rumena, ammesso che la Romania abbia una seconda divisione.</div><div style="text-align: justify;">L’ultimo mi vuole incredulo davanti ai fuochi pirotecnici che Zdenek Zeman accese nel suo breve transito sulle rive dello stretto. Fu l’anno in cui Totò Schillaci segnò valanghe di gol (23 mi pare), pur partendo spesso dalla panchina, per i motivi imperscrutabili noti solo ai silenzi dell’intellettuale boemo. Ovviamente il Messina non salì in serie A, ma l’esperienza dell’incredibile fu nitida per tutta la stagione e culminò con il pareggio interno (in coppa Italia?) 1 a 1 con il Milan di Sacchi, con gol, ecco credo che questo sia il punto, di Pierleoni e Van Basten. Pierleoni e Van Basten. Ancor più stupefacente del fatto che il Messina giocò alla pari, e forse meglio, con quel Milan, è che a segnare furono quei due, l’apollineo centravanti e l’oscuro lavoratore del centrocampo, che Zeman quell’anno trasformò in esterno del 4-3-3 e in una specie di Robinho <i>ante litteram</i>, Robinho che segna, però.</div><div style="text-align: justify;">L’intermedio mi vuole abbonato sugli spalti del “Giovanni Celeste” a seguire le gesta del Messina di Franco Scoglio, e fu lì, in una di quelle domeniche invernali sicule in cui la temperatura non scende al di sotto dei dodici gradi, che si consumò il gol più bello di tutti i tempi. Il Messina, neopromosso dalla C1, era in testa alla classifica, mi pare di ricordare che fosse una delle prime partite del girone di ritorno. Ospitava il Taranto e, sospinto da un catino infernale, passò in vantaggio con gol di tale Mossini (in realtà io le sgroppate di Mossini me le ricordo benissimo, ma dico tale per dare una parvenza di distacco, assolutamente fittizia). All’ottantottesimo circa, pareggiò il Taranto con gol di tale Biondo (qui il significante di tale è più aderente al suo significato).</div><div style="text-align: justify;">Nei dintorni del novantesimo al Messina fu concessa una punizione dal limite. Il suo fantasista, Peppe Catalano, anziché batterla come i cristiani, cercando di scavalcare la barriera e di mettere la palla all’incrocio (ed era anche bravissimo in questo, come tra poco dirò), scelse un’opzione più suggestiva, resa ancor più suggestiva dal fatto che non c’era più tempo, era il novantesimo. Secondo le antichissime consuetudini del c.d. calciatore di “ciumàra” (per calciatore di “ciumàra” si legga calciatore che gioca o quanto meno si forma nei greti inariditi dei torrenti meridionali, utilizzando come pali lavastoviglie dismesse e come linee colline di detriti argillosi), Peppe Catalano, che era un talento cristallino, con ogni probabilità disse al compagno di squadra “compàre, dàmmela qua” e invece di tirare, entrò letteralmente dentro la barriera, ne uscì indenne palla al piede, avanzò ancora un poco, tirò e scosse le fondamenta dello stadio.</div><div style="text-align: justify;">Rivedendolo ora, non è del tutto esatto che entrò dentro la barriera, perché fu facilitato dal fatto che i giocatori del Taranto ne disposero una rudimentale, forse perché la punizione non era dal limite, era un po’ dietro, ma insomma, il concetto mi pare più o meno lo stesso.</div><div style="text-align: justify;">Non che non fossi avvezzo alle sue prodezze (sicuramente nei bar di Messina Sud suo capolavoro è reputato il gol del 6 a 0 al Monopoli nel campionato di C1; a me invece piace ricordare la sua specialità, cioè la punizione laterale, quasi dalla lunetta del corner, che invariabilmente riusciva a recapitare all’incrocio dei pali opposto, cosa che non mi è più capitato di rivedere, almeno compiuta con intenzione), e non che non fossi avvezzo alle prodezze di altro giocatore lunare che fu Franco Caccia, uno che, per intendersi, batteva gli angoli di esterno destro, ma quel gol contro il Taranto mi parve, e mi pare tuttora, la <i>summa</i> di un calcio fiabesco e, insieme, un gesto irripetibile (qualcosa di simile l’anno scorso, il gol di Lavezzi al Milan).</div><div style="text-align: justify;">Peppe Catalano fu acquistato poi dall’Udinese e fuori dal suo contesto, minato anche dagli infortuni, perse il tocco e forse la magia. Chiuse la sua carriera nell’Akràgas, squadra per cui io stravedo, non foss’altro per il nome dello stadio, Esseneto, e per il fatto che milita in una divisione onirica, in cui si contende la gloria con le più importanti compagini del mondo, tra cui Corinto, Delfi e Cartagine.</div><div style="text-align: justify;">Oggi credo che alleni il Favàra, in eccellenza, e nel suo percorso a ritroso intravedo qualcosa della voluttà sicula (lui è lucano, ma non si offenderà se qui lo considero siculo d’adozione) di ripiegarsi nei cristalli della marmellata di mele cotogne, nel profumo dei gelsomini, nell’ebbrezza stordente della caponata, quello stesso ripiegarsi che induce le squadre siciliane, con la lodevole eccezione di Catania e Palermo, a cedere alla seduzione del fallimento e a ricominciare sempre dal nulla, dal campo di sabbia, dalla miseria e dalla scaramanzia.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Se a qualcuno fosse venuta la curiosità, il gol più bello di tutti i tempi è possibile vederlo da <a href="http://www.youtube.com/watch?v=lVVDPPCvDTs">qui</a>. ;)</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>Arturo</i></div></div>Unknownnoreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-5935418982092517733.post-27673611192278044382011-11-07T22:55:00.000-08:002011-11-07T22:57:47.750-08:00Rinascita viola<a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="http://2.bp.blogspot.com/-1Y7WPU5sMy8/TrjSxBhni6I/AAAAAAAAAGs/OZ7-y73eHT4/s1600/56e79c70c43d3df6bf6909d085e79257_medium.jpg"><img style="display:block; margin:0px auto 10px; text-align:center;cursor:pointer; cursor:hand;width: 320px; height: 218px;" src="http://2.bp.blogspot.com/-1Y7WPU5sMy8/TrjSxBhni6I/AAAAAAAAAGs/OZ7-y73eHT4/s320/56e79c70c43d3df6bf6909d085e79257_medium.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5672515470338001826" border="0" /></a>eddiehttp://www.blogger.com/profile/02541254803999319081noreply@blogger.com5tag:blogger.com,1999:blog-5935418982092517733.post-32868570270604279872011-11-05T04:41:00.000-07:002011-11-05T04:49:59.632-07:00Contra Pantaleaeum<a href="http://3.bp.blogspot.com/-psvxMS2hvr4/TrUiSFqjH_I/AAAAAAAAAH8/vIHIKA9ZfMk/s1600/denis-atalanta-362x270.jpg" onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}"><img style="display:block; margin:0px auto 10px; text-align:center;cursor:pointer; cursor:hand;width: 320px; height: 239px;" src="http://3.bp.blogspot.com/-psvxMS2hvr4/TrUiSFqjH_I/AAAAAAAAAH8/vIHIKA9ZfMk/s320/denis-atalanta-362x270.jpg" border="0" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5671476999896637426" /></a><div style="text-align: center;"><i><span class="Apple-style-span" style="font-size:85%;">German "El tanque" Denis</span></i></div><div style="text-align: center;"><br /></div><div style="text-align: center;"><br /></div><div style="text-align: center;"><br /></div><a href="http://2.bp.blogspot.com/-vot5rArT1Ls/TrUhk61L-eI/AAAAAAAAAHw/5OG1Lte9cSU/s1600/Santiago-Silva-300x168.jpg" onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}"><img style="display:block; margin:0px auto 10px; text-align:center;cursor:pointer; cursor:hand;width: 300px; height: 168px;" src="http://2.bp.blogspot.com/-vot5rArT1Ls/TrUhk61L-eI/AAAAAAAAAHw/5OG1Lte9cSU/s320/Santiago-Silva-300x168.jpg" border="0" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5671476223894354402" /></a><div style="text-align: center;"><i><span class="Apple-style-span" style="font-size:85%;">Santiago "El tanque" Silva</span></i></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: left;"><i>Arturo</i></div><div style="text-align: justify;"><br /></div>Unknownnoreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-5935418982092517733.post-42900790466480707582011-11-01T12:13:00.000-07:002011-11-01T12:16:04.183-07:00Per GattoArturo.... El Tanque!!!<a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="http://3.bp.blogspot.com/-2F3v5Mp1ncM/TrBFKNy05wI/AAAAAAAAAGg/JqRjtCK7DHU/s1600/dita%2Bincociate.jpg"><img style="display:block; margin:0px auto 10px; text-align:center;cursor:pointer; cursor:hand;width: 222px; height: 320px;" src="http://3.bp.blogspot.com/-2F3v5Mp1ncM/TrBFKNy05wI/AAAAAAAAAGg/JqRjtCK7DHU/s320/dita%2Bincociate.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5670107972663305986" border="0" /></a>eddiehttp://www.blogger.com/profile/02541254803999319081noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-5935418982092517733.post-48504663588340409162011-07-25T11:46:00.001-07:002011-07-26T00:48:09.685-07:00Non vedo, non sento, non parlo<div style="text-align: justify;"><a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="http://3.bp.blogspot.com/-_Oe_8-9nH5A/Ti26LkM5MlI/AAAAAAAAAGY/d0sX_5t8wcE/s1600/non%2Bvedo%2Bnon%2Bsento%2Bnon%2Bparlo.png"><img style="float:right; margin:0 0 10px 10px;cursor:pointer; cursor:hand;width: 200px; height: 154px;" src="http://3.bp.blogspot.com/-_Oe_8-9nH5A/Ti26LkM5MlI/AAAAAAAAAGY/d0sX_5t8wcE/s200/non%2Bvedo%2Bnon%2Bsento%2Bnon%2Bparlo.png" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5633363416769442386" border="0" /></a></div><p style="text-align: justify;" class="MsoNormal">Non c’è che dire il calciomercato ha subito una metamorfosi notevole negli ultimi anni. Colpa dei media, colpa del fatto che ormai scovare un video su youtube dell’ultima “pseudo-scoperta” è così facile che tutti sembrano conoscere ogni aspetto tecnico di qualunque calciatore abbia calcato un campetto di calcio sito nel posto più remoto del pianeta. Era divertente, 5 anni o meglio 10 anni fa, leggere i giornali estivi e conoscere (il più delle volte poco prima della firma) che questa o quella squadra aveva preso quel talento portoghese magari sconosciuto ai più, piuttosto che un giovane britannico le cui gestae nella penisola erano ancora poco note.E che bello era guardare le prime amichevoli (che venivano trasmesse perlopiù a fine agosto) prime occasioni per scrutare i nuovi volti che avrebbero fatto sognare o dannare la stagione in procinto di iniziare. E non potevamo che affidarci alle analisi di quei pochi inviati (e veri giornalisti!) che avevano la fortuna di assistere a qualche amichevole, vedere i lenti progressi tattici, assistere e riportare dell’evoluzione che ogni bravo allenatore sa imporre alle proprie compagini.Da questa fase “oscura” o forse intellettuale della gestione del calciomercato e del calcio estivo, riservata ai più istruiti, a chi aveva avuto modo di scrutare su emittenti minori qualche gioellino di mercato, si è passati ad una fase più mediatica fatta di maggiori chiacchiere,<span style="mso-spacerun:yes"> </span>tanti rumors, svariate trasmissioni ed innumerevoli servizi volti ad indagare strategie ed a suggerire ipotesi, ma pur sempre in un ambito ancora velato. C’erano ancora i Moggi, i Galliani, i Baldini che dicevano mezza parola (sempre falsa e tendenziosa) e poi, senza che alcun giornalista avesse ipotizzato l’operazione annunciavano i vari Ibrahimovic, Emerson, Pirlo o Chivu.Oggi si assiste ad un fenomeno che, a mio modesto avviso ha del ridicolo, tutti parlano, pianificano pubblicamente strategie, budget e desiderata. Trovo assurdo che un direttore sportivo navigato come Sabatini annunci pubblicamente che un giocatore come Vucinic sia in vendita (e non per scelta della società), come ridicole sono le conferenze di Marotta che sembra sempre pronto a giustificare e spiegare ai tifosi come vuole investire, chi vuole vendere e di quanti denari dispone. Tutta questa (dis)informazione ha reso questo periodo dell’anno solo una triste parentesi in attesa dell’inizio dei giochi… tanto tutti parlano, tutti straparlano, tutti millantano questo e quello e poi il mercato lo si fa il 31 di agosto e di sorprese ormai neanche a parlarne! Buona estate…. <span style="mso-spacerun:yes"> </span><span style="mso-spacerun:yes"> </span></p>eddiehttp://www.blogger.com/profile/02541254803999319081noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-5935418982092517733.post-57238936217917155782011-07-03T02:27:00.000-07:002011-07-03T02:48:47.249-07:00Qualcuno accedna la luce... per favore!<div style="text-align: justify;"><a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="http://1.bp.blogspot.com/-ygx0F3pVd8c/ThA5u6nfCZI/AAAAAAAAAGQ/J4fl39c9EPM/s1600/lampadina.jpg"><img style="float:left; margin:0 10px 10px 0;cursor:pointer; cursor:hand;width: 200px; height: 171px;" src="http://1.bp.blogspot.com/-ygx0F3pVd8c/ThA5u6nfCZI/AAAAAAAAAGQ/J4fl39c9EPM/s200/lampadina.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5625059412757383570" border="0" /></a><span style="text-decoration: underline;"> </span>Le annate passano, ma le idee non fermentano. La nuova campagna acquisti del buon Marotta mi sembra ben poco lineare, o meglio completamente slegata da un filo conduttore specie in cosiderazione di quella della passata stagione.<br /></div><p style="text-align: justify;" class="MsoNormal">Giusta l’idea di sistemare le fasce difensive, ma 10 ml. per Lichtsteiner - non oso pensare a quanto se la starà ridendo Lotito (!) - sono obiettivamente troppi (lo svizzero è un buon giocatore, ma non azzecca un cross manco per sbaglio!), l’idea di Pirlo potrebbe rivelarsi interessante, ma continuo a ritenerlo poco adatto al modulo di Conte. Pazienza??? ma per favore dai…. che senso ha? Come che senso ha cercare Inler e poi ripiegare (o virare se preferite) su Vidal, due buoni giocatori, intendiamoci, ma così diversi come Hamsik e Boateng… come dire sono indeciso tra una Enduro ed un Chopper! </p><div style="text-align: justify;"> </div><p style="text-align: justify;" class="MsoNormal">In attacco poi arriva la ciliegina: se è Aguero che vuoi vai e compralo, ma prima che inizi la “Copa America”, non ha senso rischiare che un goal o una buona prestazione dell’argentino ne modifichino il prezzo… io sono ormai convinto che il Kun andrà altrove (e probabilmente non è neppure un male per la Juve), ma un operatore saggio, a questo punto avrebbe chiuso (in silenzio ed in fretta), con gli stessi soldi, con Rossi e Vucinic…. ma se ti esponi come si è esposto il buon Marotta, tutto diventa maledettamente complicato…. rimpiango un direttore come Sabatini, la Roma si muove in silenzio, con idee nuove (forse rischiose), ma nuove e con una linea di condotta segnata… alla Juve si brancola nel buio… vediamo se qualcuno saprà accendere la luce… o almeno individuare l'interrutore!<br /></p>eddiehttp://www.blogger.com/profile/02541254803999319081noreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-5935418982092517733.post-61736378433058110502011-07-02T03:28:00.000-07:002011-07-02T03:33:47.067-07:00Essere Jo Tsonga<a href="http://1.bp.blogspot.com/-4pJHQeJsHRA/Tg7zCW5LOxI/AAAAAAAAAFw/oLr9LUwiebw/s1600/wimb08_672-458_resize.jpg" onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}"><img style="display:block; margin:0px auto 10px; text-align:center;cursor:pointer; cursor:hand;width: 320px; height: 208px;" src="http://1.bp.blogspot.com/-4pJHQeJsHRA/Tg7zCW5LOxI/AAAAAAAAAFw/oLr9LUwiebw/s320/wimb08_672-458_resize.jpg" border="0" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5624700206463007506" /></a><div style="text-align: center;">(Una divagazione)</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>Arturo</i></div>Unknownnoreply@blogger.com6tag:blogger.com,1999:blog-5935418982092517733.post-54117268545920990122011-03-14T11:51:00.000-07:002011-04-12T04:06:40.681-07:00Gli eroi son tutti giovani e belli<a href="http://1.bp.blogspot.com/-HHoYQ5K_vaU/TX5k1RPnPmI/AAAAAAAAAFk/E5esS1Ofw-8/s1600/fotogrande.jpg" onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}"><img style="text-align: justify;display: block; margin-top: 0px; margin-right: auto; margin-bottom: 10px; margin-left: auto; cursor: pointer; width: 320px; height: 210px; " src="http://1.bp.blogspot.com/-HHoYQ5K_vaU/TX5k1RPnPmI/AAAAAAAAAFk/E5esS1Ofw-8/s320/fotogrande.jpg" border="0" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5584011454310727266" /></a><div style="text-align: justify;">Si è molto parlato, ultimamente e forse a sproposito, dell’azionismo torinese.</div><div style="text-align: justify;">Il partito d’azione, che ha incarnato una “terza via” della resistenza italiana durante la seconda guerra mondiale, costituirebbe, secondo alcuni, il referente storico di una non si sa bene quanto occasionale o strutturata compagine di pensatori, giuristi, scrittori, giornalisti che si pone in aperto contrasto con l’orientamento politico oggi prevalente. Per la verità, il termine di paragone è servito, nelle intenzioni di chi lo ha instaurato, soprattutto per sminuire il valore dell’iniziativa attuale a fronte dell’antico afflato dei precursori.</div><div style="text-align: justify;">Nondimeno, si può isolare una critica di più ampio respiro, che unisce in qualche misura i due fenomeni in un unico negativo giudizio. Ciò che si critica, in particolare, è l’arroganza della minoranza. Tale arroganza sta e cade, evidentemente, con la consapevolezza, anche un po’ compiaciuta, del proprio carattere elitario.</div><div style="text-align: justify;">La questione, al di là degli obiettivi strumentali, su cui non è il caso di addentrarsi, è di un certo interesse, perché va a toccare uno snodo critico, che non saprei definire se non esistenziale, nella vita di una persona, cioè quello in cui si riconsidera la propria adesione a un’idea di minoranza.</div><div style="text-align: justify;">In estrema sintesi, non c’è differenza, in astratto, tra essere parte di una maggioranza ed essere parte di una minoranza, per tre motivi. Innanzi tutto, sia la maggioranza che la minoranza possono essere prevaricatrici. In secondo luogo, l’adesione all’una o all’altra può essere motivata da ragioni clientelari o di comodo. Infine, se la maggioranza può aver gioco facile nell’aggirare i diritti della minoranza, la minoranza può sempre tirare la corda del vittimismo per negare le legittime acquisizioni della maggioranza.</div><div style="text-align: justify;">A carico della minoranza c’è, inoltre, il non trascurabile appunto dell’essere arrogante, il preteso distacco dalla generalità delle voglie e dei costumi, la diversità come cifra, neppure troppo nascosta, di una superiorità. Tanto più antipatica, questa arroganza, se si considera che essa è comunque mediata, e corroborata, dall’appartenenza a un gruppo: una solitudine, verrebbe da dire, molto numerosa.</div><div style="text-align: justify;">Queste tediose riflessioni si attagliano a una squadra di cui si parla molto poco, perché sta nel dimenticatoio della serie B, oggetto di culto per pochi appassionati. Questa squadra è il Torino. Al Torino ben si addice la definizione di squadra minoritaria, soprattutto se contrapposta all’altra squadra che, seppur solo formalmente, ha sede nel capoluogo piemontese. La Juventus, probabilmente, è la squadra più tifata d’Italia e, proprio in virtù di questa vocazione maggioritaria, può dirsi di Torino solo perché la sua proprietà è di Torino, non certo per una questione di appartenenza geografica (allo stesso modo, la milanesità di Inter e Milan, sebbene gli diano gli ambrogini, è una pura categoria dello spirito).</div><div style="text-align: justify;">Al Torino ben si addice anche la definizione di squadra elitaria, forse in virtù dell’immagine che generalmente si ha della città di Torino, non solo in quanto culla di quel tipo di azionismo oggetto di critica. Ben si addice, da ultimo, al Torino il paragone col partito d’azione, per la curiosa coincidenza temporale del loro apogeo e susseguente declino (la tragedia di Superga, in cui si spense il leggendario Torino di quegli anni, è del 1949; il partito d’azione si dissolve, per l’incompatibilità della sua anima socialista con quella di vocazione più liberale, a ridosso della Costituente; sul sito del Torino è peraltro esposta una tesi sull’origine del colore granata di alto valore patriottico). </div><div style="text-align: justify;">Uno si potrebbe immaginare il tifoso del Torino come uno schivo studioso, un pensieroso infermiere, un estroverso impiegato postale, che di venerdì sera, mentre fuori “la <a href="http://www.youtube.com/watch?v=W0zSyrObgG0">neve</a> attenua ogni rumore”, si prepara le lumache di Cherasco nella sua casetta dell’astigiano (Paolo Conte, per inciso, pare sia tifoso del Milan), e il camino sfrigola lentamente e la malinconia l’avvolge perché sa che ancora una volta l’anticipo serale andrà male, in qualche campo umido di Piacenza o Sassuolo.</div><div style="text-align: justify;">Non so se queste solitudini, nell’insieme, siano o non siano numerose. Forse, ci sarà qualche tifoso del Torino che guarderà con sovrano sdegno le brulicanti schiere di adoratori della Juventus, dicendo tra sé che ne sapete voi del sapore edificante della sconfitta (un po’ lo sanno, va detto, negli ultimi tempi).</div><div style="text-align: justify;">Ma questo è il punto: il tifoso del Torino sa che la sua irrilevanza, che forse lo eleva o forse no, è permanente, mentre tutti gli addetti ai lavori sono dispiaciuti per il fatto che la Juventus non vinca e ci si interroga di continuo sulle ragioni, sugli arbitri che adesso pur di non darle un rigore si farebbero tagliare la testa, su cosa si deve fare per portarla al livello di Inter e Milan, poveri tifosi e quant’altro (su questo, ampiamente, v. sopra <i>Eddie</i>).</div><div style="text-align: justify;">Il Torino se ne sta lì, col suo passato mitico, in cui entrano il lutto per Gigi Meroni, l’ultimo scudetto virato seppia nel 1976, l’epica rimonta da due gol sotto contro la Juve (nell’anno in cui lo scudetto lo vinse la Roma, e poi mi dicono che non ci deve essere una forma di solidarietà tra le squadre che vincono mai, o quasi mai), la lezione di calcio data al Real Madrid nella semifinale di Uefa, quel colore di maglia che è un rosso corretto dalla nostalgia, la sua cucina sapida di territorio, la sua eleganza austera e un filo affettata, tutte cose e ricordi piegati ordinatamente come paia di calzini in un cassetto, e a questo punto non me ne frega già più se tutti i suoi tifosi insieme possono fare un Palasharp: io aspetto soltanto che una curva granata si riaccenda in una bizzarria della storia.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>Arturo</i></div>Unknownnoreply@blogger.com8tag:blogger.com,1999:blog-5935418982092517733.post-63292710589349126992011-03-09T02:25:00.000-08:002011-03-09T02:31:47.206-08:00Ed è subito sera<a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="http://4.bp.blogspot.com/-j58oYOliRYI/TXdV24NbKsI/AAAAAAAAAFc/rB9_f7h44kg/s1600/arsene-wenger_57350s.jpg"><img style="display:block; margin:0px auto 10px; text-align:center;cursor:pointer; cursor:hand;width: 320px; height: 218px;" src="http://4.bp.blogspot.com/-j58oYOliRYI/TXdV24NbKsI/AAAAAAAAAFc/rB9_f7h44kg/s320/arsene-wenger_57350s.jpg" border="0" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5582024664439007938" /></a><div><br /></div><div><i>Arturo</i></div>Unknownnoreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-5935418982092517733.post-66556833568044813692011-03-06T04:52:00.000-08:002011-03-06T09:36:11.504-08:00Qualcuno ha idea di dove si stia andando?<div style="text-align: justify;"><a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="http://2.bp.blogspot.com/-fOXjd77FFcs/TXOD4k6SPQI/AAAAAAAAAGE/zDlHx5JtW-g/s1600/crackR375_16set08.jpg"><img style="float: right; margin: 0pt 0pt 10px 10px; cursor: pointer; width: 200px; height: 136px;" src="http://2.bp.blogspot.com/-fOXjd77FFcs/TXOD4k6SPQI/AAAAAAAAAGE/zDlHx5JtW-g/s200/crackR375_16set08.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5580949371246230786" border="0" /></a>Assistere ad un film già visto, nel calcio in particolar modo, è decisamante deprimente. </div><p style="text-align: justify;" class="MsoNormal">Malgrado fossi certo del risultato finale mi sono seduto, più per consuetudine che per altro, a vedere la Juve mentre veniva surclassata dall'enensima Squadra.<br /></p><p style="text-align: justify;" class="MsoNormal">Le analisi su quest’ultima ricostruzione bianconera oggigiorno si sprecano e quasi tutte convergono sulla inadeguatezza di una rosa poco talentuosa, un tecnico non all’altezza ed una società che continua spendere male i propri pochi denari. </p><div style="text-align: justify;"> </div><p style="text-align: justify;" class="MsoNormal">Non sono d’accordo!</p><div style="text-align: justify;"> </div><p style="text-align: justify;" class="MsoNormal">Dalla conclusione della campagna acquisti continuo a ripetere che la direzione indicata sia, finalmente, quella corretta ed a differenza di molti “esperti”, concordo in pieno sulle tappe di avvicinamento ad essere un squadra nuovamente competitiva. Certo una rosa senza un vero terzino sinistro ed una ala sinistra di ruolo lasciava intravedere qualche incongruenza del progetto, ma a parte ciò l’idea di fondo non era malvagia.<br /></p><p style="text-align: justify;" class="MsoNormal">Solo un grave errore attribuisco alla società di corso Galileo Ferraris: Delneri!</p><p style="text-align: justify;" class="MsoNormal">Non me ne voglia il bravo tecnico di Aquilea, ma senza mettere minimamente in discussione le sue indubbie qualità, ritengo che ad un progetto pluriennale<span style=""> </span>di rinnovamento drastico servisse una guida sicura, affidabile e indiscutibile. La scelta di affidarsi ad un tecnico “anziano”, del tutto carente di esperienza in una grande squadra (e nelle prime interviste alla stampa questo aspetto è risultato evidente: “Non siamo da scudetto”, “no bè volevo dire che forse lo siamo, ma voi non avete bene inteso” etc. etc.) ha di certo fornito un comodo alibi alla rosa di ricchi “bambini” che compone la Juve. Anche il modulo, lasciatemelo dire, è anacronistico: delle squadre di vertice solo il Bayern Monaco (ma per quanto ancora?) adotta il 4-4-2, tra l’altro con miseri risultati (e la squadra di Monaco ha tra le migliori ali il calcio possa offrire, non Pepe e Martinez!).</p><p style="text-align: justify;" class="MsoNormal">Per il medesimo motivo sarebbe sbagliato e senza senso esonerare il tecnico ora: che la figuraccia, senza alibi di sorta, la facciano i giocatori, che si permettano dopo di pretendere aumenti di contratti o di rifiutare cessioni a questa o quell’altra società.<br /></p><p style="text-align: justify;" class="MsoNormal">La società bianconera ha iniziato un processo inevitabile, quanto doveroso, di ringiovanimento drastico del parco giocatori (sembrerà assurdo, ma la Juve, insieme al Palermo ha la rosa più giovane della serie A), sta procedendo ad eliminare stipendi pluri milionari, avrà, a breve, uno stadio tutto suo con evidenti aumenti di incassi stagionali, deve, certo, fare i conti con una gestione di una società all’“italiana” degli ultimi anni che ha prodotto un buco di 50 milioni di euro e paga, a ragione, le scorie di calciopoli, ma la direzione, continuo a ripetere, è corretta.<br /></p><p style="text-align: justify;" class="MsoNormal">Adesso occorre più che mai una guida sicura, un tecnico (Spalletti?) che sia identificato da giocatori e società come un riferimento per almeno un triennio, ci vuole un segnale forte del tipo: lui sarà l’unica voce tecnica della società da qui a tre anni, indipendentemente da tutto; se tu giocatore non ti adatti o non ti rispecchi nei moduli sei pregato di andare altrove! Risulta superfluo evidenziare che, oltre a ciò, quest’estate il percorso tracciato dovrà proseguire sia eliminando tanti altri rami, ormai rinsecchiti, rimasti in rosa, sia procedendo ad innesti che immettano quella tanto agognata qualità laddove necessario e soprattutto laddove il nuovo tecnico lo riterrà più necessario!<br /></p><p style="text-align: justify;" class="MsoNormal">D’altra parte, forse, ci si dimentica che ormai la “gestione finanziaria più attenta” (o per dirla all’americana: “il fair-play finanziario”) è il credo di - quasi - tutti: certo c’è il Real che spende e spande e (ad oggi) non vince, c’è un Milan che compra “a rate” tanti “giovani” talenti, c’è un Inter che si può permettere di investire ben 50 milioni di euro nel mercato di gennaio, c’è una Roma che per racimolare i soldi necessari al pagamento degli stipendi si trova costretta ad indebitarsi con i suoi stessi padroni (ma il conflitto di interessi non c’è?) per oltre 50 milioni di euri a fronte dei quali, pare, siano state dati a garanzia i proventi dei diritti TV di questo e del prossimo anno, nonché i proventi generati dallo sponsor principale fino al 2016! Seguendo questi esempi non si va da nessuna parte se non verso società che rischiano il tracollo finanziario da un momento all’altro.Concordo sul fatto che nessuno si permetterà di precludere alle società indebitate di partecipare alla Champions League (ma non diciamo idiozie!!!), però è altrettanto vero che perseguire strade più virtuose, in questo periodo storico specialmente, appare l’unica via praticabile (a meno di non avere ricchi sceicchi pronti a buttare i loro denari).La strada tracciata dalla Juve è giusta, ci vuole solo tempo e pazienza e queste doti, è noto, mancano ad ogni buon tifoso, ma non possono mancare ad un buon dirigente.</p><div style="text-align: justify;"> </div><p style="text-align: justify;" class="MsoNormal">Poi si sa: “<span style="font-style: italic;">Alla Juventus non è importante vincere è l’unica cosa che conta</span>”…</p><p style="text-align: justify;" class="MsoNormal"><span style="font-style: italic;">Eddie</span><br /></p>eddiehttp://www.blogger.com/profile/02541254803999319081noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-5935418982092517733.post-58257395973254607662011-02-28T13:39:00.000-08:002011-02-28T23:51:20.661-08:00Monday night<div style="text-align: justify;"><a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="http://3.bp.blogspot.com/-cVG-ObIELdI/TWwWZWDTJwI/AAAAAAAAAF8/iZUH2RKkEis/s1600/images.jpg"><img style="float: left; margin: 0pt 10px 10px 0pt; cursor: pointer; width: 200px; height: 150px;" src="http://3.bp.blogspot.com/-cVG-ObIELdI/TWwWZWDTJwI/AAAAAAAAAF8/iZUH2RKkEis/s200/images.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5578858663077160706" border="0" /></a>Così era scritto, così doveva andare: rigore gentilmente donato, poi spazio alla luce del papero e.. sud sconfitto come ordinato dall’alto. </div><p style="text-align: justify;" class="MsoNormal">Ora tocca sconfiggere le malelingue, i dubbi e quelli che la divisa l’hanno mantenuta nera, ma niente paura, saranno sconfitte anche quelle brutte toghe monocolore!</p><div style="text-align: justify;"> </div><p style="text-align: justify;" class="MsoNormal">Questo è il mondo del pallone dopo calciopoli… questa è l’Italia dopo tangentopoli. Tutto cambia per non cambiare, si caccia il vecchio padrone per far posto al nuovo signorotto… se non altro nel calcio qualche certezza permane: le righe nere verticali rimangono, muta solo il colore di sfondo… viva il calcio!</p><p class="MsoNormal"><span style="font-style: italic;">Eddie</span><br /></p>eddiehttp://www.blogger.com/profile/02541254803999319081noreply@blogger.com8tag:blogger.com,1999:blog-5935418982092517733.post-71249754759587648592011-02-01T11:18:00.000-08:002011-02-02T04:43:39.489-08:00Fisiognomica<a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="http://2.bp.blogspot.com/_DGaF4qM05kM/TUhgwM8HNcI/AAAAAAAAAEo/oTXHZwgvJH4/s1600/lou-reed-close-up.jpg"><img style="display:block; margin:0px auto 10px; text-align:center;cursor:pointer; cursor:hand;width: 200px; height: 138px;" src="http://2.bp.blogspot.com/_DGaF4qM05kM/TUhgwM8HNcI/AAAAAAAAAEo/oTXHZwgvJH4/s200/lou-reed-close-up.jpg" border="0" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5568807320466961858" /></a><div><div style="text-align: justify;">Da una parte c’è il rampollo di una famiglia ebrea della <i>middle-class</i> newyorkese, che disfa la sua identità sui marciapiedi e nelle mansarde ispirate della città, dedito a ogni eccesso sessuale, al travestitismo, sedotto da intellettuali satiri, ferocemente aggrappato a una chitarra elettrica che graffia e distorce su pareti di violino. Nessuno lo avrebbe mai detto somigliante in vecchiaia al primo allenatore italiano della nazionale di calcio inglese, uomo di regime, monogamo e fedele, di cui l’unico eccesso ipotizzabile è la passione per l’arte contemporanea.</div><div style="text-align: justify;">Da una parte c’è il ragazzo di San Canzian d’Isonzo, mento squadrato e temperamento schietto, già adulto nel rincorrere il pallone sui prati del Friuli. Si intuisce che per lui non c’è educazione possibile al di fuori della disciplina, e c'è una linea che, se oltrepassata, consente di mettere le mani sul collo di un uomo. Nessuno gli avrebbe smorfiato il destino di scambiarsi i tratti in futuro con una roca leggenda della musica <i>pop</i>, declamatore di E.A. Poe, sopravvissuto a se stesso e ai suoi miti.</div><div><div><div style="text-align: justify;">Fabio Capello è il più simpatico degli antipatici. C’è nella sua linearità senza fronzoli il retaggio di una disposizione concreta alla vita, che gli rende del tutto indifferente la bandiera sotto cui svolgere il mestiere in cui eccelle. Il mercenario è, infatti, tanto più nobile quanto più se ne frega. Per lui conta solo fare al meglio ciò per cui si è pagati. Si sa che potrebbe passare in ogni momento dalla parte di chi lo metta nelle condizioni migliori per lavorare. Il gioco è chiaro, ogni romanticismo è una sovrastruttura.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: center;"><img style="cursor:pointer; cursor:hand;width: 200px; height: 118px;" src="http://2.bp.blogspot.com/_DGaF4qM05kM/TUhg8oTBrII/AAAAAAAAAEw/xFqzGrjQIsM/s200/prime2-600x450.jpg" border="0" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5568807533969255554" /></div><div style="text-align: center;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Me lo ricordo, una volta che comprai un biglietto da un bagarino al quadruplo del suo prezzo: tutto lo stadio, e che stadio, lo odiava, ma lui stava per vincere la sua seconda <i>Liga</i>, con il suo non bel gioco, con il suo <i>do ut des</i>, con la sua freddezza di commerciante. Parafrasando uno scrittore spagnolo, bisogna sempre diffidare degli allenatori che non chiedono soldi per la vittoria, perché non si sa mai cosa potrebbero chiedere in cambio.</div><div style="text-align: justify;">Anche se poi è andato ad allenare la Juventus, come se nulla fosse, è stato l’artefice dell’unico evento significativo del calcio italiano degli ultimi venti anni, la vittoria dello scudetto con la Roma (al pari della vittoria della Lazio l’anno prima, sebbene io sia un convinto sostenitore della tesi secondo cui Lazio, Inter e Juventus non hanno, in astratto, alcuna ragione di esistere). Nel 1973, anno in cui Lou Reed pubblica uno dei suoi capolavori, <i>Berlin</i>, Capello segna lo storico gol decisivo nella vittoria dell’Italia a <i>Wembley</i>. Queste sono le gemme di una carriera solida come la sua tempra, rassicurante come la noia fertile in cui mi immergerei in una discussione con lui e il suo amico Edy Reja, su come non si butta il pane raffermo, sul tempo della semina e su quello del raccolto, sul tempo e basta, che è solo quello trascorso, mai quello che verrà.</div><div style="text-align: justify;">Durante la conversazione, con il timore reverenziale che avrei nel discutere col generale combattuto in mille guerre da soldato semplice, gli domanderei se conosce Lou Reed, l’uomo cui il tempo ha dipinto lo stesso disegno sul volto. Cosa hanno in comune due vite così diverse, per portare alla stessa malinconia.</div></div></div></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>Arturo</i></div>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5935418982092517733.post-13562865978057390542010-12-03T05:02:00.000-08:002010-12-03T13:46:59.679-08:00In difesa di Ezequiel<a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="http://1.bp.blogspot.com/_DGaF4qM05kM/TPjs-KM-S9I/AAAAAAAAADU/oHuYl79ArsA/s1600/1650690177-25102010210316.jpg"><img style="display:block; margin:0px auto 10px; text-align:center;cursor:pointer; cursor:hand;width: 320px; height: 195px;" src="http://1.bp.blogspot.com/_DGaF4qM05kM/TPjs-KM-S9I/AAAAAAAAADU/oHuYl79ArsA/s320/1650690177-25102010210316.jpg" border="0" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5546443493741579218" /></a><div style="text-align: justify; ">Avevo preparato tutto, studiato coincidenze, disinnescato variabili, per lunedì sera. In genere il lunedì sera non sono mai a casa, per questioni sportive ma non calcistiche, e poi è bello uscire il lunedì sera, le strade sono vuote e l’inverno se ne approfitta.</div><div><div style="text-align: justify;">Ma questo lunedì sera avevo o simulavo un dolore alla schiena che mi avrebbe costretto in casa e perfino il frigorifero, che in genere decide lui cosa io debba mangiare, crosta di parmigiano o torta, era organizzato per non indurmi a repentine fughe verso il supermercato, il cui orario di chiusura ormai si prolunga a tempo indefinito nella notte.</div><div style="text-align: justify;">Perfino il gatto era avvertito, che mi avrebbe dovuto cedere il suo posto sul divano.</div><div style="text-align: justify;">Invece imprevista è arrivata una telefonata, per un impegno che io non avevo preso, ma altri avevano preso per me, e dicendomene interiormente di tutti i colori ho confermato la mia presenza. Tutto saltato, il frigorifero semipieno per nulla, l’alterazione del piano quinquennale del gatto. Ho pensato di lasciargli la televisione accesa, perché potesse godersi lui la partita, con quello sguardo furbo e imbecille, ma ho desistito, i gatti sono pieni di impegni.</div><div style="text-align: justify;">Per la verità, lunedì sera mi sono divertito comunque, ma mi sono perso <i>el partido del siglo</i> (<i>siglo veinte y uno</i>, per dirla con un cantante terzomondista). Eppure, la risonanza dell’evento è stata tale da risolvere una piccola <i>impasse</i> in cui mi trovavo.</div><div style="text-align: justify;">Da qualche tempo, avevo in mente di scrivere un <i>post</i>, ma non riuscivo a trovare una giustificazione valida per scriverlo, una giustificazione stilistica intendo. Già questo mi destava sospetti sull’intrinseca irrilevanza del suo oggetto, che infatti, dopo qualche distratta considerazione, è stato subito sopraffatto dalle attualità prepotenti del giorno dopo, prepotenti perché più interessanti, va da sé.</div><div style="text-align: justify;">L’oggetto di questo <i>post</i> che non riuscivo a scrivere era ed è il gol di Lavezzi nella partita col Milan. Questo che sto scrivendo non è, con ogni probabilità, il <i>post</i> sul gol di Lavezzi, ed è quindi segno tangibile di una leggera sconfitta. Avevo pensato in un primo momento di scriverlo partendo da quel fermo-immagine, descrivendo i punti di vista dei soggetti coinvolti nella scena. “Che cosa pensano i giocatori quando segnano” è il verso che mi è sempre piaciuto di una certa canzone. Ho scartato l’idea perché mi sapeva troppo di gioco di incastri alla C. Nolan. Vita breve ha avuto anche l’ipotesi si citare affettuosamente l’inizio della prima storia di Corto Maltese, il <i>post</i> sarebbe iniziato grossomodo così: “Sono il pallone da calcio e sono quello che sta sospeso a mezz’aria”.</div><div style="text-align: justify;">Dopo non aver visto il <i>main event</i> di lunedì sera, la confusione mi si è in qualche modo schiarita. Prodigi del <i>tiqui-toque</i>. Forse è l’ennesima riprova dell’inadeguatezza del gol di Lavezzi, mentre gli argomenti del Barcellona sono stati la quadratura del cerchio. Per dirne una, il gol di Lavezzi è stato inutile, il Napoli perdeva due a zero e alla fine ha perso due a uno. Il Barcellona ha vinto una sfida molto attesa, in cui entravano etnie, concezioni del calcio e del mondo, refoli di vendetta (a proposito, ma non potevano esibirsi in questo spettacolo giusto qualche mese fa, così per lo meno avremmo evitato il lieto orrendo fine del sogno Morattiano?).</div><div style="text-align: justify;">Però c’è una cosa che vorrei dire: io questa partita non l’ho vista, <i>eppure l’ho vista.</i> Tale è stata la risonanza, tanti gli stralci su <i>you-tube</i>, tanto lo sbigottito clamore che, sono sicuro, tra qualche anno, quando questa partita sarà storia, appunto perché passata alla storia, io potrò dare a bere di averla vista, di esserne stato partecipe: basterà rammentare le verticalizzazioni vertiginose di Iniesta, il funambolismo di Messi, i tacchi, le giravolte, il possesso di palla esteso al di là della noia. Forse allora penserò di averla vista sul serio, se nel frattempo sarò rincoglionito il giusto. Sarà come capitare in uno scompartimento di treno mentre tutti parlano di <i>Harry Potter</i>: se uno vuole stare al passo coi tempi deve avere le cognizioni minime su <i>Albus Silente</i>. Con la differenza che quello di Guardiola è davvero un capolavoro, ci mancherebbe.</div><div style="text-align: justify;">Ma è qui che il gol di Lavezzi si prende la sua piccola rivincita. Col passare del tempo, la prestazione galattica del Barcellona si confonderà nel ricordo di chi c’era e nel non ricordo di chi non c’era, per diventare un simbolo, un paradigma, l’elevazione massima di un certo modo di giocare, la panna che affiora sulla superficie del latte. Il gol di Lavezzi, se uno non lo ha visto, non lo può ricordare.</div><div style="text-align: justify;">E siccome verrà un tempo in cui il tempo sarà troppo o troppo poco e della memoria sfuggiranno la sintassi, l’architrave e il discorso, allora mi aggrapperò ai mattoni e ai ricordi, ai relitti sul mare buio, e potrò ringraziarti Ezequiel, perché sarò sicuro di averti visto, di averti visto davvero.</div></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>Arturo</i></div>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5935418982092517733.post-77420370616914736542010-09-15T09:22:00.000-07:002010-09-15T09:29:30.040-07:00Curvature nella memoria<a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="http://4.bp.blogspot.com/_DGaF4qM05kM/TJDy86AmEkI/AAAAAAAAACA/h2n-irOAueQ/s1600/2z40qk4.jpg"><img style="float:left; margin:0 10px 10px 0;cursor:pointer; cursor:hand;width: 200px; height: 200px;" src="http://4.bp.blogspot.com/_DGaF4qM05kM/TJDy86AmEkI/AAAAAAAAACA/h2n-irOAueQ/s200/2z40qk4.jpg" border="0" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5517176671706681922" /></a><div style="text-align: justify;">Per molto tempo, ho pensato che il calcio fosse un ottimo antidoto alle conversazioni su Wittgenstein. Bisogna immaginarsi il contesto: un salotto, meglio se di sinistra; una discussione accorata su problemi profondi; idee incastonate nelle loro montature di discorsi salubri; e poi (come direbbe Giorgia), in un disperato tentativo di sospensione, introdurre, con un vero e proprio <i>tackle</i> concettuale, l'elemento Francesco Totti (ma anche Cambiasso potrebbe andar bene, visto che siamo in tema di <i>tackle</i>).</div><div><div style="text-align: justify; ">Dopo la retorica patriottarda occasionata dal mondiale (ma non si potrebbe fare ogni quaranta anni invece che quattro?), dopo la pantomima del calciomercato, comincio invece a pensare che Wittgenstein sia un ottimo antidoto alle conversazioni sul calcio (in particolare, la proposizione n. 7, come la maglia, del <i>Tractatus</i>, e non nella banale <i>vulgata</i> secondo cui se non si sa ciò di cui si sta parlando è meglio stare zitti: il calcio appartiene o non appartiene alla sfera del mistico?).</div><div style="text-align: justify; ">Totalmente demotivato, lo scorso sabato sera guardavo non so quale semifinale dell’Open degli Stati Uniti. A un cambio di campo, ho fatto un’escursione sul telecomando e mi sono imbattuto in Cesena-Milan, che si sa quanto è finita. A parte l’ilarità per il rigore sbagliato da Z. Ibrahimovic (un nome e un cognome, per favore, non il nomignolo), a parte la solidarietà umana a F. Caressa, che si vede proprio che gli dispiace quando la squadra che dovrebbe vincere cinque a zero non vince cinque a zero, a parte la triste considerazione per cui il Milan sta diventando l’Inter e l’Inter sta diventando il Milan, mi sono ricordato che, agli albori del mio interessamento calcistico, la mia squadra di allora, per pura casualità geografica il Messina, tornava sempre dal “Dino Manuzzi” con almeno due gol sul groppone.</div><div style="text-align: justify; ">In genere, si dice che il pubblico sia il dodicesimo uomo in campo. In realtà, se un dodicesimo c’è, non si tratta del pubblico, bensì dello stadio. Che non si tratti del pubblico, quello della Roma ne è controprova. Per quanto mi riguarda, basterebbe la canzone di Venditti perché l’arbitro emetta subito il triplice fischio e dia la vittoria d’ufficio alla squadra di casa. E invece le cose all’Olimpico girano quasi mai per il verso giusto (basti pensare all’epilogo dello scorso campionato).</div><div style="text-align: justify; ">Lo stadio del Cesena è uno di quegli stadi in cui, effettivamente, la palla può andare in porta da sola. Bisognerebbe parlarne con qualche premio Nobel, ma con ogni probabilità è un effetto che dipende da un fenomeno di curvatura dello spazio. Concorrono a questa curvatura vari elementi.</div><div style="text-align: justify; ">Innanzi tutto, le dimensioni. Lo stadio, per ottenere quell’effetto, deve essere piccolo. Non piccolo in senso assoluto, esistono stadi enormi che sono comunque piccoli. Raccolto è forse la parola adatta. Non ci deve essere la pista d’atletica, questo è chiaro, ma soprattutto l’andamento degli spalti non deve procedere in larghezza, se no lo stadio è buono solo per le amichevoli della nazionale o per un concerto di Ligabue. Angusto e verticale, lo stadio deve comunicare, architettonicamente, alle ordinarie leggi della fisica che nel suo spazio loro non entrano.</div><div style="text-align: justify; ">In secondo luogo, il tipo di tifo. Stadi del genere escludono in partenza il tifo cartesiano (tifo per questa squadra perché vince o ha vinto molto), il tifo Woody Allen (tifo per questa squadra perché mi ci identifico e ne posso parlare alla ragazza che non conquisterò perché la ammorbo con queste stronzate), il tifo complessato, a ben guardare una variante del precedente (tifo per questa squadra perché è vittima del sistema, arbitri venduti a quelle merde dei gobbi, per citarne uno a me vicino), il tifo estetizzante (tifo per questa squadra perché pratica la bellezza del calcio), il tifo <i>radical-chic</i> (tifo per questa squadra perché non è di un magnate brutto e cattivo). Stadi del genere ammettono solo il tifo dionisiaco: il delirio puro, inconsapevole, che celebra un rito misterico.</div><div style="text-align: justify; ">In terzo luogo, il rumore. In questi stadi non si sente un brusio di sottofondo, né un’altalena nervosa di silenzio e singulti. Si sente solo un unico, ininterrotto, frastuono. Per dirla con il mio manuale di fisica purtroppo mai aperto, il rumore è la quarta dimensione, il tappo che si chiude sul cratere, è il limite, il lasciate ogni speranza voi che entrate.</div><div style="text-align: justify; "><br /></div><div style="text-align: justify; "><br /></div><div style="text-align: justify; "><i>Arturo</i></div></div>Unknownnoreply@blogger.com8tag:blogger.com,1999:blog-5935418982092517733.post-4871702196970675272010-07-17T12:00:00.001-07:002010-07-17T12:04:50.170-07:00Il calcio è divertimento<a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="http://2.bp.blogspot.com/_jZnS3KtVUTM/TEH9-3PXktI/AAAAAAAAAE0/11O7ePK3SBs/s1600/Senza+titolo-1.jpg"><br /></a><span style="font-size:130%;">Buona Estate!</span><br /><br /><div style="text-align: center;"><a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="http://1.bp.blogspot.com/_jZnS3KtVUTM/TEH-r7tOpmI/AAAAAAAAAE8/wvV029Z_5k4/s1600/Senza+titolo-1.jpg"><img style="cursor: pointer; width: 250px; height: 357px;" src="http://1.bp.blogspot.com/_jZnS3KtVUTM/TEH-r7tOpmI/AAAAAAAAAE8/wvV029Z_5k4/s320/Senza+titolo-1.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5494953051083941474" border="0" /></a><br /></div><a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="http://2.bp.blogspot.com/_jZnS3KtVUTM/TEH9-3PXktI/AAAAAAAAAE0/11O7ePK3SBs/s1600/Senza+titolo-1.jpg"><br /></a>eddiehttp://www.blogger.com/profile/02541254803999319081noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5935418982092517733.post-57980118186546590932010-06-25T01:50:00.000-07:002010-06-25T02:53:41.176-07:00Non prendiamoci in giro<div style="text-align: justify;"><a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="http://3.bp.blogspot.com/_jZnS3KtVUTM/TCRyr6hBGjI/AAAAAAAAAEs/GqKK52guGE4/s1600/bebe.jpg"><img style="float: left; margin: 0pt 10px 10px 0pt; cursor: pointer; width: 187px; height: 138px;" src="http://3.bp.blogspot.com/_jZnS3KtVUTM/TCRyr6hBGjI/AAAAAAAAAEs/GqKK52guGE4/s200/bebe.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5486636344811788850" border="0" /></a>Era tutto scritto, tutto ampiamente previsto, forse non al primo turno ed in questa desolante maniera, ma di certo due italiani su tre erano largamente convinti fin dall'inizio che l’avventura sudafricana non sarebbe stata ricca di successi.<br /></div><div style="text-align: justify;">Al contrario di altri, non trovo sensato analizzare colpe e colpevoli di questa <span style="font-style: italic;">débâcle</span> internazionale proprio perché… tutti lo sapevano, tutto era già stato ampiamente pronosticato e francamente del «<span style="font-style: italic;">io lo avevo detto</span>» mi frega un piffero!<br />Vogliamo prendercela con il C.T. Lippi per non aver convocato Totti, Perrotta, Balotelli e Cassano, e sia.<br />Vogliamo prendercela con Mister Lippi per aver convocato i “bolliti” Cannavaro, Gattuso, Camoranesi e Zambrotta ed i “limitati” Pepe, Iaquinta, Marchisio e Montolivo, e sia.<br />Vogliamo prendercela con il tecnico viareggino per non aver dato certezze tattiche ad una squadra sprovvista di certezze tecniche, e sia.<br />Vogliamo prendercela con l’allenatore campione del mondo per non aver saputo intravedere in Quagliarella un giocatore particolarmente in forma e meritevole di essere schierato, e sia.<br />Vogliamo prendercela con una generazione di non fenomeni che l’Italia calcistica, ahinoi, per adesso sta “producendo”, e sia.<br />Vogliamo prendercela con i preparatori dello staff nazionale che hanno allestito una squadra come si conviene agli acrobati del circo di Ambra Orfei, e sia.<br />Vogliamo prendercela con Blatter ed il suo ostracismo alla tecnologia nel calcio, nonché con la terna arbitrale che annulla il regolarissimo goal qualificazione, e sia.<br />Potremmo proseguire a lungo prendendocela con i mille motivi che hanno determinato tre partite indecorose ed indecenti, trovo tuttavia tale disamina del tutto priva di costrutto, i problemi, come ho già detto, li si conosce e li si conosceva; i problemi non li risolviamo certo semplicemente sostituendo il commissario tecnico.<br />Evitando di entrare nel merito di questioni che non riguardano questo tema, mi permetto di evidenziare come nel 2006 la nazionale italiana, prossima campione del mondo, attingeva i suoi elementi da un bagaglio di squadre e di giocatori ben diversi da quelli attuali.<br />Tralasciando ogni aspetto tecnico o tattico, la generazione dei vari Del Piero, Totti, Gattuso, Buffon, Pirlo, Inzaghi, Nesta e così via ha avuto la fortuna e la possibilità di confrontarsi con il calcio d’oltralpe già in primissima gioventù.<br />A poco più di vent’anni Totti e Del Piero (solo per citare due esempi) avevano alle spalle già diverse annate di coppe internazionali, gan parte, se non tutti, i campioni di allora hanno avuto la “fortuna” di militare in società che miravano a cercare di conquistare prestigio e rilievo anche al di fuori delle mura di casa nostra.<br />E’ storia recente di un calcio sempre più ostaggio del dio denaro e che non vede altro che la Champions League ed i sui ricchi compensi!<br />Solo questo scenario acquista rilievo per le nostre squadre, il resto non conta, solo la competizione dei “Campioni” permette un ritorno economico congruo e meritevole di valutazione, il resto non conta.<br />Più o meno ciò che accadeva alla coppa nazionale in un passato prossimo, l'Europa League è più una fastidiosa incombenza da assolvere che un'occasione di crescita personale e di squadra!<br />Questa evidente inversione di tendenza, oltre che illogica ed inspiegabile (sotto l’aspetto tecnico ed emozionale), determina l’inevitabile conseguenza che gran parte dei giocatori italiani non trovino opportunità per confrontarsi con palcoscenici un pochino più rilevanti dello stadio della propria città!<br />Nel calcio italiano moderno l’evento non è la trasferta in terra iberica o lusitana, ma il macth con la Beneamata nello stadio più grande d’Italia!<br />Se a tale considerazione si aggiunge che un tempo i giocatori “non svezzati” venivano aggregati solo come jolly alle spedizioni azzurre e che oggi invece vengono indicati come gli elementi con “maggiore tecnica” ecco che il gioco e bello che fatto!<br />Nel 2006 la compagine azzurra attingeva gran parte della sua rosa da almeno 4 squadre di livello internazionale: Juve, Milan, Roma ed Inter di cui le prime due, allora, ai vertici del calcio internazionale.<br />E’ singolare costatare come al momento continuiamo ad avere la squadra più forte d’Europa, ma purtroppo è noto a tutti come, per quanto mirabilmente composta, sia purtroppo del tutto inutile alla nazionale… italiana!<br />La mia non vuole essere una critica, ma una semplice disamina ed uno spunto di riflessione, la mia vuole essere una proposta, un modello da seguire e perseguire che, tra l’altro, abbiamo tutti davanti agli occhi: la Germania.<br />L’Italia calcistica vive un periodo decisamente particolare, il cosiddetto “giocattolo” è, a mio avviso, sul punto di frantumarsi irrimediabilmente se non si tenta di dare un sferzata decisa.<br />Polemiche, arbitri inadeguati, società indebitate fino al collo, violenza negli stadi, bassissima cultura sportiva, valorizzazione nulla dei settori giovanili, tifosi pronti a scatenare guerre civili per un acquisto non gradito etc. sono tutti sintomi di un morbo che dovrebbe essere diagnosticato e curato con attenzione.<br />I “cugini” teutonici lo hanno capito per tempo, hanno sanato i bilanci e favorito la costruzione di stadi di proprietà da parte delle società, la Federazione, grazie anche alla classe politica, ha fornito ai Club gli strumenti per diversificare le entrate economiche.<br />Hanno sfruttato la massiccia presenza di immigrati favorendo la naturalizzazione di tanti giovani calciatori cui si è dato subito accesso ai vertici del calcio tedesco ed alla nazionale guidata da <span style="font-style: italic;">Jürgen Klinsmann</span> prima e da <span style="font-style: italic;">Joachim Löw</span> ora.<br />Si è attraversato un naturale periodo di transizione, ma i frutti di un’operazione intelligente e rivolta al futuro non si sono fatti attendere: la Germania ha una delle squadre più giovani ed interessanti del mondiale, il suo capitano Philipp Lahm, a meno di 27 anni, ha già disputato circa 70 partita con la sua nazionale, il Bayern è uno dei pochi “grandi club” che ha bilanci da primato, il Wolfsburg, lo Stoccarda, il Werder Brema e lo Shalke 04 e tante altre compagini iniziano a farsi vedere e sentire anche a livello internazionale rispolverando i passati fasti del Borussia Dortumnd e del Kaiserslautern… e, come se ciò non fosse sufficiente, presto opereranno il tanto temuto sorpasso ai nostri danni nel ranking della UEFA togliendoci di fatto un posto nelle prossime Champions League!<br />La federazione italiana ha scelto un ottimo allenatore per il futuro, un tecnico abituato a lavorare con i giovani, la speranza è che questa amara quanto eclatante eliminazione possa servire ad avviare un processo di pulizia generale dell’ambiente che lo rinnovi dall’interno e che possa fornire i frutti in un prossimo futuro.<br />Non è tempo di raccogliere, purtroppo, è il tempo di rimboccarci le maniche e riprendere ad arare il campo, farlo riposare, seminare e curare con attenzione i piccoli frutti che a poco a poco cresceranno.<br />Non può essere un processo semplice, ma deve essere un processo orientato al futuro.<br />L’augurio è che avendo toccato il fondo (già sfiorato in occasione del deludente europeo Austro-Svizzero) si tenti di percorrere nuove (vecchie?) strade e non si inizi a scavare alla ricerca di una luce… dall’altra parte!<br /><br /><span style="font-style: italic;">Eddie</span><br /><br />P.S. In un paese dove ognuno è pronto a scaricare le proprie responsabilità, massimo rispetto per Mister Lippi che se le è assunte tutte ed in prima persona. Gesto dovuto certo, ma non così scontato!</div>eddiehttp://www.blogger.com/profile/02541254803999319081noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-5935418982092517733.post-44289369656194088062010-06-04T02:56:00.000-07:002010-06-04T03:05:42.894-07:00Le scelte difficili<a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="http://3.bp.blogspot.com/_jZnS3KtVUTM/TAjONkaemrI/AAAAAAAAAEU/zelGcq2cFj4/s1600/coppa-del-mondo-mandela.jpg"><img style="float: right; margin: 0pt 0pt 10px 10px; cursor: pointer; width: 200px; height: 176px;" src="http://3.bp.blogspot.com/_jZnS3KtVUTM/TAjONkaemrI/AAAAAAAAAEU/zelGcq2cFj4/s200/coppa-del-mondo-mandela.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5478855679204563634" border="0" /></a><br /><div style="text-align: justify;">E finalmente l’ammiraglio Lippi scelse i 23, pardon, 24 mozzi destinati a difendere sul campo il successo del 2006 e soprattutto a cercare di mostrare al mondo che l’Italia calcisticamente vincente non è solo quella della congrega cosmopolita del “santone” di Setubal.<br />E’ datata la convinzione che vuole la penisola ricca di allenatori in erba pronti a criticare formazioni, moduli e tattiche, ma quale mestiere regala più soddisfazioni che non quello del critico.<br />D’altra parte si sa lo stivale è da sempre un paese di santi, poeti, navigatori e.. allenatori di pallone!<br />Veniamo a noi, e cerchiamo di affrontare un discorso semiserio sui nostri atleti, sia su quelli che partono che su quelli che, ahimè, passeranno presto a far visita al neo padre Briatore in Sardegna.<br /><u>Capitolo portieri</u>: qui la scelta è quasi obbligata; ed anche se non sono del tutto convinto che Buffon rappresenti oggi il meglio nel ruolo, di certo è l’unico che congiunghi classe, tecnica ed esperienza. Per Sirigu e Viviano, forse, ci sarà tempo più avanti, Marchetti e De Sanctis al contrario sono già oggi ottimi rincalzi, anche se al primo manca qualsivoglia esperienza internazionale (salvo, forse, qualche “incontro” estivo nelle amene località dell’isola del <span style="font-style: italic;">pane carasau</span>!).<br /><u>Capitolo difensori</u>: nel ruolo un tempo eravamo maestri, da Maldini a Scirea, da Baresi a Facchetti, da Nesta a Cabrini fino al Cannavaro del 2006. Oggi, però, il nostro capitano, strafelice (per l’ingaggio, immagino?) neogiocatore dell’<span style="font-style: italic;">Al Ahli</span>, non è più il ghepardo di una volta e se Lippi non riesce a farsene una ragione in tempo il rischio di figuracce è quasi assicurato. Passando oltre, Chiellini rappresenta l’unica reale certezza (non sulla fascia però per favore!), Bonucci la speranza, come d’altra parte Criscito e Maggio, Bocchetti l’azzardo e Zambrotta, c’è da chiedersi perché sia nella terra dei leoni se non per andare a fare un Safari!<br />Ma i palermitani Balzaretti e Cassani, o il diligente Antonini anche se con poca esperienza a grandi livelli, non avrebbero proprio fatto comodo?<br /><u>Capitolo centrocampisti</u>: perché Gattuso è stato convocato (vedi sopra Zambrotta)? Non me ne voglia il simpatico Ringhio e non me ne vogliano i suoi numerosi estimatori, ma siamo certi che nel suo ruolo non ci fosse qualche altro giocatore che nella stagione appena conclusa abbia giocato un pochino meglio? Lasciamo a casa Ambrosini, Perrotta e Brighi: nessun fenomeno, sia chiaro, ma tutti validi elementi il cui rendimento stagionale è stato di certo superiore a quello del rossonero.<br />Su Pirlo, De Rossi, Montolivo, Palombo e Marchisio non mi sento di muovere alcuna critica atteso che rappresentano quanto l’Italia calcistica produce attualmente ed i primi due, oltretutto, ci sono invidiati da mezza Europa. Su Camoranesi e Pepe mi permetto di esprimere, tuttavia, alcuni dubbi: in merito al primo, del quale le capacità tecniche non sono in discussione, si potrebbe ripetere il medesimo discorso fatto per Gattuso, è vecchio ed ha fatto un campionato orrendo, in più pare sia anche rotto! Su Pepe, non so che dire, corre, corre e… corre, di certo si farà in quattro per assecondare le richieste del commissario tecnico e per difendere il tricolore, ma oltre ciò nutro forti dubbi e nel suo ruolo avrei preferito Mannini o Marchionni.<br />Cossu mi piace da matti, è un gran bel giocatore, anche se forse un pochino acerbo e di difficile collocazione nel modulo di lippiano; cosa posso aggiungere? Speriamo che Camoranesi rimanga a curarsi per bene!<br /><u>Capitolo attaccanti</u>: Borriello a casa, Rossi a casa, Cassano… lo sanno anche le pietre! Gilardino e Pazzini per fortuna ci sono (e il secondo ha seriamente rischiato di non esserci!), il capocannoniere del campionato c’è, ma auguriamoci che non ripeta le deludenti prestazioni degli Europei.<br />A chiudere la lista compaiono l’amato (da Lippi) Iaquinta ed il verace Quagliarella, entrambi reduci da un campionato non esaltante…<br />Mi pare di non aver scordato nessuno, o forse uno si il Pupo di Roma... ma lui in nazionale (forse) non vuole più giocarci...<br />Che dire? Lippi rientra di diritto nella categoria dei grandi allenatori plurivincenti e si sa come questi siano tutti anche particolarmente presuntuosi… spesso però hanno ragione loro per bravura o per sorte… non possiamo far altro che auguracelo!<br /><br /><span style="font-style: italic;">Eddie</span></div>eddiehttp://www.blogger.com/profile/02541254803999319081noreply@blogger.com7tag:blogger.com,1999:blog-5935418982092517733.post-69190803431314100622010-06-02T13:10:00.000-07:002010-06-03T04:51:06.863-07:00Mondiali di Calcio 2010: gironi<a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="http://4.bp.blogspot.com/_jZnS3KtVUTM/TAbQQM3Xs8I/AAAAAAAAAEM/hW2sCVgVQlA/s1600/sud-africa-2010-zakumi.jpg"><img style="float: left; margin: 0pt 10px 10px 0pt; cursor: pointer; width: 164px; height: 181px;" src="http://4.bp.blogspot.com/_jZnS3KtVUTM/TAbQQM3Xs8I/AAAAAAAAAEM/hW2sCVgVQlA/s200/sud-africa-2010-zakumi.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5478294973492736962" border="0" /></a><div style="text-align: justify;">Uno degli aspetti più divertenti dei campionati mondiali di calcio, quando si svolgono agli antipodi, è quello per cui si conoscono città dai nomi impronunciabili, eppure anche loro munite di un sindaco, una piazza, un mercato, un percorso dell'autobus numero 23.</div><div style="text-align: justify;">Per esempio, nei mondiali messicani uno si poteva immaginare le osterie sordide di Guadalajara, o interrogare sul significato recondito del nome Irapuato, che a un italiano altro non evoca se non un'Alpe Apuana sdegnata, che volge la schiena al brulicare delle sdraio sulla riviera.</div><div style="text-align: justify;">A questo giro, tocca al Sudafrica e, se si potesse viaggiare, si sarebbe sospesi tra una frittura austera di pesci australi a Port Elizabeth, una fuga d'amore a Bloemfontein, un interminabile torneo di poker texano tra Nelspruit e Rustenburg.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b>Girone A (SudAfrica, Messico, Uruguay, Francia):</b></div><div style="text-align: justify;">Bisogna calcolare che in genere la prima partita di un mondiale è una palla mostruosa. Quindi SudAfrica e Messico pareggeranno, anche perché sta male che la squadra ospite perda all'esordio. Dopo di che l'Uruguay giustizierà la pessima Francia: gli eredi di Ghiggia e Varela daranno una lezione di <i>football</i> antico agli orfani di Zidane, l'uomo che è riuscito a far passare Materazzi da vittima, anche se chi scrive non si sente di condannarlo del tutto. Purtroppo poi la Francia del competentissimo Domenech non riuscirà a non vincere con Messico e SudAfrica e si qualificherà, ma seconda, dietro l'Uruguay, prima delle squadre da scommettere se si vuol lanciare un'Opa (che non è un pesce siculo, in questo caso) su qualcosa.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b>Girone B (Argentina, Nigeria, Corea del Sud, Grecia):</b></div><div style="text-align: justify;">Oba Oba Martins ha promesso che correrà la tratta Tripoli/Johannesburg in un'ora e un quarto, anche per dimostrare a quell'insolente di Alvarez (Honduras) che gli lascia le bucce ma, a parte queste prodezze atletiche, la Nigeria non dovrebbe riuscire a contendere all'Argentina il primo posto nel girone.</div><div style="text-align: justify;">Diego Armando, i numi siano con te.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b>Girone C (Inghilterra, Usa, Algeria, Slovenia):</b></div><div style="text-align: justify;">Qui F. Capello, tolti gli amici americani, dovrebbe abbastanza facilmente passeggiare. Se Rooney si ripiglia dall'infortunio, approfitterà di queste partite per avvantaggiarsi nella classifica dei marcatori, come del resto faranno Milito e Messi nel girone precedente. Dopo l'Inghilterra, gli Americani che, se si motivassero con visioni continuative di A. Pacino in "Ogni maledetta domenica", ma meglio ancora in "Heat la sfida", potrebbero rendere ricchi i militanti delle scommesse <i>on-line</i> e non.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b>Girone D (Germania, Ghana, Serbia, Australia):</b></div><div style="text-align: justify;">Girone elettrizzante quanto una partita al quinto set tra Isner e Karlovic. L'unico che può dare un po' di pepe è D. Stankovic, reduce dalla vittoriosa campagna interista di quest'anno. Se riesce a trasmettere nei suoi compagni la decima parte del nervosismo da invidia repressa (e finalmente riscattata) che ha respirato in questi anni, può anche darsi che giorno 18 giugno la Serbia ne farà due alla Germania nei primi venti minuti. Ma poi rimarranno in otto e perderanno. E per seconda passerà il Ghana dai polsini multicolori, sempre che Muntari non si faccia prendere da ansie emulative.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b>Girone E (Olanda, Danimarca, Camerun, Giappone):</b></div><div style="text-align: justify;">Francamente, non si capisce dove Danimarca e Giappone debbano andare. Solo il Camerun, con la sua vocazione suicida, potrebbe provare a regalare insperate qualificazioni. L'Olanda, che nell'ottica di una scommessa oculata (cioè non proprio inverosimile, ma neanche scontata), è un'opzione da considerare, farebbe meglio a non vincere cinque a zero tutte le partite del girone, se non vuole fare la fine del Barcellona di quest'anno in Champions League.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b>Girone F (Italia, Paraguay, Nuova Zelanda, Slovacchia):</b></div><div style="text-align: justify;">Così come sono scritte sopra, che si vuole aggiungere. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b>Girone G (Costa d'Avorio, Portogallo, Brasile, Corea del Nord):</b></div><div style="text-align: justify;">Qui salterà la prima testa illustre, visto che la matematica non fa sconti e non tutti hanno Paraguay, Slovacchia e Nuova Zelanda nel girone. Potrebbe essere quella del Portogallo, a meno che C. Ronaldo, quello dello shampoo, non metta al servizio dell'aridità offensiva portoghese tutte le sue doti realizzative. Conoscendolo, è probabile che ne faccia quattro o cinque alla Corea del Sud, quando sarà già tutto inutile, dopo che Drogba giorno 15 giugno avrà azzannato la malinconia intrisa di Fado di chi aspetta ancora un condottiero autentico.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><b>Girone H (Honduras, Cile, Spagna, Svizzera):</b></div><div style="text-align: justify;">Se Alvarez non è troppo fiaccato dalla sfida con Obafemi Martins (girone B), e se l'Honduras, complice una sua corsa folle sulla fascia e una carambola sugli incisivi di Davide Suazo, riesce a spuntarla nel derby sudamericano di Nelspruit col Cile (16 giugno), le cose si potrebbero mettere in modo tale che seconda dietro la Spagna potrebbe essere la compagine Honduregna, su cui non invitiamo a scommettere per puro egoismo, non sia mai che si abbassi la quota.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>Eddie & Arturo</i></div>Unknownnoreply@blogger.com5tag:blogger.com,1999:blog-5935418982092517733.post-16501611195347215422010-05-24T02:45:00.000-07:002010-06-01T01:52:05.195-07:00Appunti di geografia calcistica (parte III-bis)<a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="http://4.bp.blogspot.com/_DGaF4qM05kM/S_pLR3I0NiI/AAAAAAAAABI/vPHZrXSLiH0/s1600/Shevalobanovski.jpg"><img style="float:left; margin:0 10px 10px 0;cursor:pointer; cursor:hand;width: 200px; height: 198px;" src="http://4.bp.blogspot.com/_DGaF4qM05kM/S_pLR3I0NiI/AAAAAAAAABI/vPHZrXSLiH0/s200/Shevalobanovski.jpg" border="0" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5474771067253044770" /></a><div style="text-align: justify;">Mentre come non mai la storia imprimeva il corso degli eventi sulle magliette dei calciatori, la fama di Valerij Lobanovs'kyj crebbe fino al punto di suscitare veri e propri pellegrinaggi di studio nella sua Kiev, da parte di allenatori occidentali che avrebbero e non avrebbero cambiato il modo di intendere il gioco del calcio.</div><div><div style="text-align: justify; ">La leggenda vuole che tra i valorosi studenti, intorno alla metà degli anni ottanta, ci furono due allenatori di squadre allora emergenti nel campionato italiano di seconda divisione, Arrigo Sacchi, allenatore del Parma (e di lì a poco del Milan), e Francesco Scoglio, allenatore del Messina (e di lì a poco del Genoa: ognuno ha il suo destino).</div><div style="text-align: justify; ">Ora, lo so che è fuori tema ma a me questo aneddoto ha fatto sempre pensare all'arrivo di Totò e Peppino a Milano in "Totò, Peppino e la Malafemmina" (di C. Mastrocinque, 1956). Mi sono sempre immaginato Scoglio e Sacchi sotto due colbacchi (che fa pure rima), in un freddo simil-polare, a scrivere una surreale lettera di presentazione in russo maccheronico al colonnello Lobanovs'kyj, perché li rendesse edotti della sua sapienza tattica.</div><div style="text-align: justify; ">Dopo il collasso dell'Unione Sovietica, Valerij Lobanovs'kyj trascorre sei anni tra Emirati Arabi e Kuwait, giusto per potersi addossare qualche accusa di tradimento o cedimento al vile denaro. Torna alla Dinamo Kiev nel 1997, e l'Europa si ricorda della sua faccia impassibile in una doppia sfida con il Barcellona nel girone eliminatorio di Champions League: tra Ucraina e Catalogna, sette a zero per la Dinamo Kiev.</div><div style="text-align: justify; ">A Kiev, sale sugli scudi il piccolo Serhij Stanislavovyč Rebrov; a Barcellona, Andrij Mykolajovyč Ševčenko, con una memorabile tripletta. Sui filmati reperibili in <i>youtube</i>, si può ammirare la statuaria esultanza di Lobanovs'kyj, del tutto immobile se non per un impercettibile movimento del sopracciglio, analogo a quello di Carletto Ancelotti quando, negli ottavi di finale dell'ultima Champions League, negarono a Kalou un rigore vasto quanto un fuorigioco di Klose.</div><div style="text-align: justify; ">Andrij Ševčenko fu per Lobanovs'kyj l'equivalente di Blochin negli anni novanta: rapido, tecnico, essenziale, educato. Da quel battesimo indimenticabile, il giovane delfino del Maestro ha spesso incantato le platee del calcio europeo, con la sua eleganza di ballerino consapevole della necessità di essere inserito in un corpo di ballo, mai arrogante come un solista (l'anno successivo, Ševčenko fu capocannoniere della Champions League, con otto reti, mentre Rebrov si fermò a sette: ma non bastò alla Dinamo, che fu eliminata in semifinale dal Bayern Monaco).</div><div style="text-align: justify; ">Dopo questa breve incompleta panoramica sul calcio russo (impropriamente riferendoci ancora all'antica estensione geografica) viene da chiedersi da cosa dipenda l'incostanza del rendimento delle squadre <i>ex-</i>sovietiche, che le rende (e le ha sempre rese) capaci allo stesso tempo di prestazioni maiuscole e tracolli dilettantistici. Questo alternarsi di sublime e ridicolo stupisce forse ancor più perché non smettiamo di considerare il calcio russo come qualcosa di esotico, una specie di <i>fùtbol bailado</i> intirizzito dal freddo, di cui stentiamo a penetrare i meccanismi.</div><div style="text-align: justify; ">Volendo avanzare un'ipotesi, potrebbe essere un problema di spazio. Sia gli splendori che le miserie del calcio russo sembrano derivare da un rapporto peculiare con il proprio spazio vitale, tutto sbilanciato nell'anima a favore di quest'ultimo, con la sua vastità, il suo rigore, i suoi impenetrabili silenzi. Ciò che per i calciatori occidentali era un metro, per i russi era un chilometro, nel campo e nel cuore. Quando riuscivano a costringere nel rettangolo la loro capacità di organizzare l'immenso, tangibile anche in letteratura, davano l'impressione di trascinare le squadre avversarie nei loro territori infiniti, in cui erano e sono gli unici capaci di correre. Le volte in cui il miracolo non riusciva sembravano invece inciampare nel loro difetto di proporzione, passare la palla al vuoto, o meglio al fantasma di chi avrebbe dovuto esserci ma non c'era, perché nessuno si trovava e poteva trovarsi, nel piccolo, troppo enorme, catino del campo di gioco.</div><div style="text-align: justify; ">Come nella finale degli europei del 1988, in cui la Russia allenata da Lobanovs'kyj, dopo aver ridicolizzato l'Italia in semifinale, svanì di colpo di fronte all'arrembante Olanda di Gullit e Van Basten (suo lo straordinario gol del due a zero). Il volto del grande Valerij non tradì neppure allora alcuna emozione. Di certo sapeva, però, che quell'Olanda giocava il calcio che lui aveva inventato, molti anni prima, nei suoi laboratori battuti dal vento.</div><div style="text-align: justify; "><br /></div><div style="text-align: justify; "><i>Arturo</i></div></div>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-5935418982092517733.post-88068468891599943632010-05-24T02:17:00.000-07:002010-05-24T03:54:14.571-07:00Non è tutto oro quel che luccica<a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="http://1.bp.blogspot.com/_jZnS3KtVUTM/S_pEi3JNO6I/AAAAAAAAAEE/wFNXjxBb1xE/s1600/paperone.jpg"><img style="float: right; margin: 0pt 0pt 10px 10px; cursor: pointer; width: 150px; height: 200px;" src="http://1.bp.blogspot.com/_jZnS3KtVUTM/S_pEi3JNO6I/AAAAAAAAAEE/wFNXjxBb1xE/s200/paperone.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5474763662731066274" border="0" /></a><div style="text-align: justify;">Doverosi, quanto meritati, sono i complimenti ad una società, un presidente, un tecnico ed una squadra che ha saputo vincere praticamente ogni competizione che ha disputato in questa stagione.</div><div style="text-align: justify;">Finale di Champions che si snoda come, dai più, previsto ed annunciato: un’Inter che interpreta il vecchio catenaccio in chiave moderna con tanti attaccanti che fanno i centrocampisti piuttosto che con qualche centrocampista e qualche difensore in più.<br />Ripartenze degne di <span style="font-style: italic;">Usain Bolt</span> precise e puntuali come fossero state dipinte sui taccuini di Mou.<br />Una squadra, quella nerazzurra, che ha giocato nel modo giusto, aspettando il Bayern ben conscia del fatto che in un 4-4-2 come quello bavarese gli unici in grado di cambiare la partita sono solo le ali e se di fatto ne hai solo una, anche se fortissima (<span style="font-style: italic;">Robben</span>), può risultare relativamente facile arginarne l’azione ed essere pronti a sguinzagliare contropiedi precisi e puntuali.<br />Se poi davanti hai un giocatore come <span style="font-style: italic;">Diego Milito</span> (cervello calcistico sopraffino) allora tutto è anche più semplice.<br />C’è una cosa che però stride con questi trionfalismi <span style="font-style: italic;">inter</span>nazional-popolari, il post partita.<br />Moratti stesso ha evidenziato il pessimo tempismo del Tecnico di Setubal nell’annunciare il suo ricco trapasso alle <span style="font-style: italic;">merengues</span>.<br />Se, tuttavia, a questo epilogo eravamo un po’ tutti preparati, le frasi dell’eroe argentino non erano di certo altrettanto scontate: «<span style="font-style: italic;">Se resto il prossimo anno? Speriamo, nel calcio non si sa mai. Ringrazio l'Inter, il presidente, il mister per avermi voluto l'estate scorsa. Sono felice, poi per il prossimo anno vediamo</span>».<br />Nel calcio si sa ormai lo spazio riservato alla compagini “povere” è pochissimo, e questi double, triplete, penta trionfalismi non fanno altro che dimostrare che il vincere nel pallone è altamente condizionato dal potere economico (l’unico esempio contrario è forse il Madrid che ha comunque conquistato 96 punti nello scorso campionato!).<br />Il risvolto della medaglia caro Moratti è proprio questo: con i soldi puoi forse compare il miglior attaccante, puoi comprare il miglior tecnico ed il miglior portiere, ma non puoi comprare il loro amore per la maglia.<br />Se penso alla Juve di qualche anno fa mi viene in mente che giocatori come Trezeguet, Camoranesi, Del Piero e Nedved (oltre tanti altri) sono rimasti in squadra dopo le sconfitte e la retrocessione perché quella maglia aveva ormai marchiato la loro pelle, Totti pur se accostato ai più grandi club del mondo concluderà la sua fantastica carriera a Roma e De Rossi, se il debito dell’Italpetroli lo permetterà, farà lo stesso, l’amore ed il rispetto dei giocatori del Milan per la squadra poi è ben visibile in tutti i livelli societari e non della compagine di via Turati (ed è forse anche uno dei problemi del Milan attuale!).<br />Diego Milito, uno che fino a quest’anno aveva vinto un dignitosissimo campionato di serie b con il Genoa, nel giorno più bello, dopo aver segnato un doppietta nella finale di Champions, si esprime in quel modo… bè questo è il potere del soldo, questo è il risvolto tetro e triste del calcio moderno.<br /><br /><span style="font-style: italic;">Eddie</span><br /></div><span style="font-style: italic;"></span>eddiehttp://www.blogger.com/profile/02541254803999319081noreply@blogger.com5tag:blogger.com,1999:blog-5935418982092517733.post-52607273473269790822010-05-18T15:53:00.000-07:002010-05-21T07:16:56.045-07:00Appunti di geografia calcistica (parte III)<a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="http://2.bp.blogspot.com/_DGaF4qM05kM/S_OkNhK25WI/AAAAAAAAAA4/utVbq4x8eyY/s1600/1908478130_34cee8aaa4.jpg"><img style="float:left; margin:0 10px 10px 0;cursor:pointer; cursor:hand;width: 234px; height: 320px;" src="http://2.bp.blogspot.com/_DGaF4qM05kM/S_OkNhK25WI/AAAAAAAAAA4/utVbq4x8eyY/s320/1908478130_34cee8aaa4.jpg" border="0" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5472898524334450018" /></a><div style="text-align: justify;">Noi non sappiamo cosa Vasilij Michail'ovyč Lobanovs'kyj raccontò al suo figlio minore, Valerij, della partita della morte. Noi la partita della morte l'abbiamo vista trasfigurata in un film molto famoso, in cui Pelè gioca nella stessa squadra di Rocky Balboa, ma Vasilij Michail'ovyč, l'operaio, non ebbe modo di assistere alla vera, perché questa fu giocata nello stadio Zenith di Kiev il 9 agosto del 1942, e nello stadio Zenith quel giorno c'era un tifoseria un po' particolare.</div><div style="text-align: justify;">Non c'erano ucraini, né nello stadio né a Kiev, perché la città era sotto l'occupazione tedesca. Per divertire i gerarchi e le loro famiglie fu organizzata come simpatico passatempo una partita di calcio tra una selezione di ufficiali delle SS e una squadra che raccoglieva giocatori delle squadre locali, Lokomotiv e Dinamo. Gli ucraini non abdicarono al ruolo di calciatori e, nonostante i pressanti inviti ricevuti in tal senso, si rifiutarono di lasciar vincere coloro che, con ogni probabilità, avevano abdicato al ruolo di uomini.</div><div style="text-align: justify;">Come premio, ebbero morte, deportazione e tortura.</div><div style="text-align: justify;">Quindici anni più tardi, Valerij Vasyl'ovyč Lobanovs'kyj fece il suo esordio con la maglia della Dinamo. Nessuno si sarebbe aspettato che quel ragazzo longilineo e taciturno potesse essere schierato sull'ala sinistra, da sempre regno calcistico di soggetti minuti e dalla gamba agile. Valerij era legnoso, dava sempre l'idea di perdere il pallone, ma nel suo caracollare, nel suo muoversi in bilico, ubriacava gli avversari, increduli per l'essere sorpassati da tanta lentezza.</div><div style="text-align: justify;">Le cronache narrano che i tifosi della Dinamo neanche respirassero per tutta la durata della traiettoria dei suoi calci d'angolo. Valerij disegnava curve elegantissime che andavano spesso a terminare nell'incrocio dei pali opposto della porta avversaria. Altrettanto preciso era nei calci di punizione. La sua carriera calcistica si articola tra Dinamo Kiev, Čornomorec' Odessa e Shaktar Donetsk (non si scrive proprio così, ma è per capirsi), sempre tra ieratici dribbling, come uno che cerca di fregare la fila alle poste, lo sguardo assente, serio, distante.</div><div style="text-align: justify;">Pare che dietro quell'aria scontrosa celasse già propositi di allenatore. Predisposto allo studio, incline all'astrazione, traeva quasi più soddisfazione dagli allenamenti che dalle partite ufficiali. La sua palestra di tecnico furono i quattro anni al Dnipro Dnipropetrovsk, prima di approdare, nel 1974, alla squadra della sua città, la Dinamo Kiev.</div><div style="text-align: justify;">Già al primo anno, condusse la Dinamo alla vittoria, che rimase l'unica nelle coppe europee per le squadre russe, della Coppa delle Coppe. Fin dall'inizio, Valerij Lobanovs'kyj impose la sua maniacale attenzione sull'organizzazione di gioco, dettando le premesse per quello che sarebbe diventato il calcio moderno. Pur senza rinunciare al talento individuale, diede alla sua squadra la forma di una mente collettiva. L'idea, in poche parole, era questa: correre fin dove il pensiero degli avversari non potesse arrivare, pensare fin dove le gambe degli avversari non potessero correre. L'inedita cura per la preparazione atletica era abbinata a una meticolosa suddivisione dei compiti e dei movimenti.</div><div style="text-align: justify;">Il giocatore che incarnò alla perfezione la sua idea di calcio, durante il primo insediamento (sedici anni) sulla panchina della Dinamo, fu Oleh Volodymyrovyč Blochin, genio e polmoni, silenzioso e mancino. Wikipedia vuole che allenasse il piede destro tirando a ripetizione verso una porta suddivisa in zone numerate.</div><div style="text-align: justify;">In occidente, questa rivoluzione calcistica causò un notevole spiazzamento. Non conteneva in sé i germi reazionari e fideistici che avevano dilagato negli assetti politici, anzi era autenticamente proiettata nel futuro, soprattutto per la sua pretesa vocazione "scientifica". In questo senso, Lobanovs'kyj non fu un "mago", uno stregone di quelli che ci piace ancora vedere allenare con il loro carico di tappeti e fumo venduto al triplo del prezzo. Sua fu la frase, ripresa da F. Scoglio prima e da F. Battiato poi, per cui "il calcio è numero" (o matematica, che dir si voglia). Agli alambicchi, alle macumbe, al sale sparso dietro la porta, con Valerij Vasyl'ovyč Lobanovs'kyj subentrano nel calcio i teoremi, le equazioni, i diagrammi. (<i>continua</i>)</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>Arturo</i></div>Unknownnoreply@blogger.com6tag:blogger.com,1999:blog-5935418982092517733.post-84655755030923396872010-04-29T09:16:00.000-07:002010-04-29T10:32:10.463-07:00These are the Champions: finale<div style="text-align: justify;">All'affacciarsi di una primavera indolente, in cui i campionati più importanti d'Europa volgono al termine, con il loro rassicurante carico di certezze (no, no, l'anno prossimo non ci saranno Osasuna e Stoke City in Champions, possiamo stare tranquilli), giunge voce d'oltremanica che il Chelsea viaggi a una media di 12 gol a partita, mentre del Barcellona si conoscono ampiamente le gesta immortali, Arsenal, Real Madrid, tutti storditi da mirabilanti prodezze come alla festa delle caldarroste col novello.</div><div style="text-align: justify;">Bene, le vedete Chelsea e Barcellona in finale di Champions League? No.</div><div style="text-align: justify;">Le ha fatte fuori, giocando con l'umiltà del Siena, l'Inter. Con la differenza che l'Inter è l'Inter e non il Siena, appunto. Si può replicare: questo è un merito. Può darsi, ma allora a quel punto avremmo preferito che ci fosse veramente il Siena.</div><div style="text-align: justify;">D'altra parte, non c'era scampo, se l'Inter ieri avesse giocato a viso aperto, se ne sarebbe celebrato il coraggio, la spavalderia, il tratto garibaldino. Avendo alzato le barricate, complice forse anche una cattiva (come definirla se no, guastafeste?) espulsione di Motta, vai con l'eroismo, con le Termopili, con la linea del Piave.</div><div style="text-align: justify;">Pare che se ne dovrebbe essere in qualche misura orgogliosi, partecipi. In uno degli scenari futuribili, l'Inter la Champions la vince pure: non è un'ipotesi peregrina, considerando che si trova di fronte una squadra, il Bayern Monaco, che quasi neanche sa come ha fatto ad arrivarci, in finale, tra Ovrebi e suicidi del Manchester.</div><div style="text-align: justify;">Forse, almeno, si darebbero una calmata. Forse, i fazzoletti bianchi, i falli da codice penale, le manette, il lamento, l'amore, l'innocenza, la sovversione dell'ordine costituito, l'occhio spiritato di Maicon e tutto questo tristo armamentario di bassezze evaporerebbero in una serena contemplazione del proprio neo-acquisito <i>status</i> di squadra di livello europeo.</div><div style="text-align: justify;">Questa, e nessun altra, ci sembra una buona ragione per essere soddisfatti.</div><div style="text-align: justify;">Tutti si meritano ciò che hanno (così si dice, con una certa dose di semplificazione): l'Inter si merita la finale e noi, evidentemente, ci meritiamo l'Inter in finale.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i>Eddie & Arturo</i></div>Unknownnoreply@blogger.com6