mercoledì 28 aprile 2010

Al grande Gabriel

Chissà se quel giorno, coordinandosi, il grande Gabriel avrà provato anche rivalsa, verso quell'aria satura di glicini e supponenza che scende dai campanili e le volte, dagli affreschi che ispirano la dolce collina e la sfumano in nubi azzurrine. Quando arrivò, aveva ancora l'odore grezzo del prato e la sua faccia di giovane gaucho era troppo squadrata per non destare diffidenza tra gli ammiratori di statue.
Il modo di trattare il pallone non era diverso dall'accento aspro con cui si esprimeva nelle interviste; col tempo, avrebbe imparato a toccarlo con maggiore eleganza, per distrarre la linea retta che gli sembrava il modo più rapido per unire le gambe alla rete.
Nessuno potrà mai dire se dalla pampa si era portato anche quel corredo di disposizioni incerte dell'animo con cui metteva in scena melodrammi all'inizio di ogni estate, tentato dalle vittorie che sapeva mai avrebbe ottenuto restando a Firenze.
Per lungo tempo, l'ostinazione del suo sangue dovette prevalere, se l'inizio del campionato lo vedeva apparire fuori forma ed emaciato con ancora maglia viola e fascia di capitano, ma poi -inspiegabilmente, visto che era ridotto come un orso uscito dal letargo- ricominciava a segnare, con la stessa naturalezza con cui i vulcani esplodono, le frane crollano, le valanghe slittano a valle.
Intendiamoci, non c'era l'eleganza di Van Basten, né la rapina di Inzaghi, non il senso tattico di Milito, piuttosto c'era qualcosa che potrebbe essere definito come una necessità che porta la palla al di là del portiere, in qualunque luogo essa si trovi, qualunque sia il prezzo da pagare, in termini di fatica, coraggio o immaginazione.
Guardate qui, vero che Tudor è una mummia, ma vero è anche che sente il suo soffio arrivare, lo si vede da come piega la schiena, gli arriva l'onda dell'urto. Poi lui rimane in aria, ed esplode un autentico delirio. Quell'anno, era il 1998/1999, Batistuta tenne dei ritmi impressionanti, finché non gli cedette un ginocchio all'inizio del girone di ritorno, vanificando le speranze di scudetto della Fiorentina. Poi lo mandarono in campo, quasi fosse una specie di totem, circa una settimana dopo l'intervento, come andare a sciare tre ore dopo una polmonite, e lui segnò un gol di tacco al Piacenza, giocando praticamente con una gamba sola.
Ascoltate, l'anno dopo, il telecronista. La voce è quella di un'azione ordinaria, non scalda l'ugola per l'assolo, che infatti gli esce come un singhiozzo. Da , in quel luogo, in quel modo, non si può segnare, è assolutamente contrario alle leggi della natura, fino a prova contraria.
Gabriel Omar Batistuta è stato, talvolta, la prova contraria.
Quando si trasferì alla Roma, dietro un pianto di facciata, a Firenze pensavano di avergli ceduto un cimelio corroso dai tarli. Forse era vero, ma tarli o non tarli giocò uno dei suoi leggendari gironi d'andata (su tutto, forse spicca la doppietta in casa del Parma, nella cui porta c'era ancora Buffon, assolutamente strepitosa).
Venne anche il giorno in cui si trattò di incontrare la Fiorentina, ed accadde l'inevitabile. Non perché la Fiorentina avesse, ed abbia, una particolare predisposizione a subire i gol degli ex (quest'anno, rimarchevole la doppietta Pazzini-Semioli in Sampdoria-Fiorentina: mancava solo che segnasse Zauri), ma perché, come una necessità appunto, gli si manifestò in un solo istante tutto il passato, gli tornò indietro tutta la forza che aveva messo nei tiri scagliati, nel suo tipico allargarsi all'esterno dopo aver fintato verso l'interno, nelle corse verso la Fiesole dove per troppo amore gli dedicarono una statua, o è solo che Firenze non sa distinguere tra vita e depliant di musei.
Così gli partì quel tiro incredibile, quel tiro normale, perché la palla doveva ancora una volta andare al di là del portiere (come, si può notare, tra la parola "Batistuta" e l'urlo "gol" del telecronista passa un tempo lunghissimo). Quel giorno, il grande Gabriel vide l'amore di una vita crollare sotto i suoi colpi, si chinò e le poggiò una rosa sui denti.

Arturo

4 commenti:

Eddie ha detto...

Fenomenale il parallelismo con Where The Wild Roses Grow... il re leone, un giocatore semplicemente indimenticabile... assieme a Rui Costa e successivamente a Totti poi era pura poesia calcistica: "la bella e la bestia!"
Impressionanti le sue progressioni e le sue bordate come d'altra parte strepitosi rimangono i suoi "inizi di torneo"; se non erro è l'unico giocatore ad aver segnato due triplette in due mondiali diversi (94 e 98) entrambe nella fase a gironi. Se Van Basten era un cigno, Gabriel Omar è stato un fantastico Leone! Peccato solo per il suo finale di carriera. Avrebbe potuto chiudere a Roma, ma i soldi ahimè sono a volte più importanti!

Eddie

el señor dionigi ha detto...

Ricordo alla perfezione il gol contro la Fiorentina. Ci guardammo negli occhi con Daniele e capimmo che quell'anno sarebbe stato diverso da quelli precedenti. Era la classica partita in cui la Roma gioca bene ma non riesce, per legittimi limiti strutturali, a segnare. Fino a prova contraria, come dici tu. Ovvero Gabriel Omar, uno che non si era mai visto con la maglia della Roma, uno capace di farti credere che tutto era possibile, e spesso lo era. Lui ha trascinato, col suo carismo, una buona squadra verso una prima parte di stagione eccezionale. Tutti giocavano al di sopra delle proprie possibilità per non sfigurare difronte a lui, per mostrarsi all'altezza. E' stata la locomotiva dello Scudetto e, almeno per me, rimane il giocatore -in relazione al poco tempo che è rimasto- intensamente più amato.
Grazie per avermelo ricordato, Arturo.

sigosiendobostero ha detto...

La più forte punta che io abbia mai visto. Era il mio idolo, il mio calcio.

Il gol all'Arsenal è tuto quello che un centravanti sogna. Progressione, potenza, precisione, delirio.

Non è stato un caso, quel gol. Qualche tempo dopo ne segnò uno identico a Lecce dall'altra parte, a scanso di equivoci su eventuali fortune.

http://www.youtube.com/watch?v=WRi6lLPlS-c

arturo ha detto...

Non saprei, per un tifoso dovrebbe essere sempre uguale, e non che (rari) momenti di soddisfazione siano mancati dopo che andò via, ma quel suo modo di giocare, di interpretare il ruolo, restituivano davvero un'emozione pura.
Eppure, credo che non verrà ricordato per ciò che veramente valeva, se non a Roma e a Firenze: troppo pochi i numeri da foca (ogni riferimento all'attualità è puramente voluto) per compiacere l'estetismo d'accatto che fa vendere tante magliette.

Così, solo per inciso, ho omesso di citare la vergognosa parentesi interista, ma visto che, Sconcerti e Caressa in primis, dobbiamo essere tutti contenti che una squadra italiana (?) sia in finale, rammento che l'acquisto di Batistuta ha fatto parte del piano morattiano di comprare il mondo per riuscire, prima o poi, a costruire una squadra che potesse competere con i termini di ogni sua invidia, cioè il Milan Gallianico e la Juventus Moggiana. Begli esempi si è scelto. Quelli almeno il male ce l'avevano nel sangue, e non avevano bisogno di farsi venire la bava alla bocca o di sventolare panni bianchi.
Ora ride che il suo giocattolino sta conquistando il mondo, pescatore da reti a strascico che ha svuotato l'oceano per mettere in vetrina i pesci grossi.