lunedì 14 marzo 2011

Gli eroi son tutti giovani e belli

Si è molto parlato, ultimamente e forse a sproposito, dell’azionismo torinese.
Il partito d’azione, che ha incarnato una “terza via” della resistenza italiana durante la seconda guerra mondiale, costituirebbe, secondo alcuni, il referente storico di una non si sa bene quanto occasionale o strutturata compagine di pensatori, giuristi, scrittori, giornalisti che si pone in aperto contrasto con l’orientamento politico oggi prevalente. Per la verità, il termine di paragone è servito, nelle intenzioni di chi lo ha instaurato, soprattutto per sminuire il valore dell’iniziativa attuale a fronte dell’antico afflato dei precursori.
Nondimeno, si può isolare una critica di più ampio respiro, che unisce in qualche misura i due fenomeni in un unico negativo giudizio. Ciò che si critica, in particolare, è l’arroganza della minoranza. Tale arroganza sta e cade, evidentemente, con la consapevolezza, anche un po’ compiaciuta, del proprio carattere elitario.
La questione, al di là degli obiettivi strumentali, su cui non è il caso di addentrarsi, è di un certo interesse, perché va a toccare uno snodo critico, che non saprei definire se non esistenziale, nella vita di una persona, cioè quello in cui si riconsidera la propria adesione a un’idea di minoranza.
In estrema sintesi, non c’è differenza, in astratto, tra essere parte di una maggioranza ed essere parte di una minoranza, per tre motivi. Innanzi tutto, sia la maggioranza che la minoranza possono essere prevaricatrici. In secondo luogo, l’adesione all’una o all’altra può essere motivata da ragioni clientelari o di comodo. Infine, se la maggioranza può aver gioco facile nell’aggirare i diritti della minoranza, la minoranza può sempre tirare la corda del vittimismo per negare le legittime acquisizioni della maggioranza.
A carico della minoranza c’è, inoltre, il non trascurabile appunto dell’essere arrogante, il preteso distacco dalla generalità delle voglie e dei costumi, la diversità come cifra, neppure troppo nascosta, di una superiorità. Tanto più antipatica, questa arroganza, se si considera che essa è comunque mediata, e corroborata, dall’appartenenza a un gruppo: una solitudine, verrebbe da dire, molto numerosa.
Queste tediose riflessioni si attagliano a una squadra di cui si parla molto poco, perché sta nel dimenticatoio della serie B, oggetto di culto per pochi appassionati. Questa squadra è il Torino. Al Torino ben si addice la definizione di squadra minoritaria, soprattutto se contrapposta all’altra squadra che, seppur solo formalmente, ha sede nel capoluogo piemontese. La Juventus, probabilmente, è la squadra più tifata d’Italia e, proprio in virtù di questa vocazione maggioritaria, può dirsi di Torino solo perché la sua proprietà è di Torino, non certo per una questione di appartenenza geografica (allo stesso modo, la milanesità di Inter e Milan, sebbene gli diano gli ambrogini, è una pura categoria dello spirito).
Al Torino ben si addice anche la definizione di squadra elitaria, forse in virtù dell’immagine che generalmente si ha della città di Torino, non solo in quanto culla di quel tipo di azionismo oggetto di critica. Ben si addice, da ultimo, al Torino il paragone col partito d’azione, per la curiosa coincidenza temporale del loro apogeo e susseguente declino (la tragedia di Superga, in cui si spense il leggendario Torino di quegli anni, è del 1949; il partito d’azione si dissolve, per l’incompatibilità della sua anima socialista con quella di vocazione più liberale, a ridosso della Costituente; sul sito del Torino è peraltro esposta una tesi sull’origine del colore granata di alto valore patriottico).
Uno si potrebbe immaginare il tifoso del Torino come uno schivo studioso, un pensieroso infermiere, un estroverso impiegato postale, che di venerdì sera, mentre fuori “la neve attenua ogni rumore”, si prepara le lumache di Cherasco nella sua casetta dell’astigiano (Paolo Conte, per inciso, pare sia tifoso del Milan), e il camino sfrigola lentamente e la malinconia l’avvolge perché sa che ancora una volta l’anticipo serale andrà male, in qualche campo umido di Piacenza o Sassuolo.
Non so se queste solitudini, nell’insieme, siano o non siano numerose. Forse, ci sarà qualche tifoso del Torino che guarderà con sovrano sdegno le brulicanti schiere di adoratori della Juventus, dicendo tra sé che ne sapete voi del sapore edificante della sconfitta (un po’ lo sanno, va detto, negli ultimi tempi).
Ma questo è il punto: il tifoso del Torino sa che la sua irrilevanza, che forse lo eleva o forse no, è permanente, mentre tutti gli addetti ai lavori sono dispiaciuti per il fatto che la Juventus non vinca e ci si interroga di continuo sulle ragioni, sugli arbitri che adesso pur di non darle un rigore si farebbero tagliare la testa, su cosa si deve fare per portarla al livello di Inter e Milan, poveri tifosi e quant’altro (su questo, ampiamente, v. sopra Eddie).
Il Torino se ne sta lì, col suo passato mitico, in cui entrano il lutto per Gigi Meroni, l’ultimo scudetto virato seppia nel 1976, l’epica rimonta da due gol sotto contro la Juve (nell’anno in cui lo scudetto lo vinse la Roma, e poi mi dicono che non ci deve essere una forma di solidarietà tra le squadre che vincono mai, o quasi mai), la lezione di calcio data al Real Madrid nella semifinale di Uefa, quel colore di maglia che è un rosso corretto dalla nostalgia, la sua cucina sapida di territorio, la sua eleganza austera e un filo affettata, tutte cose e ricordi piegati ordinatamente come paia di calzini in un cassetto, e a questo punto non me ne frega già più se tutti i suoi tifosi insieme possono fare un Palasharp: io aspetto soltanto che una curva granata si riaccenda in una bizzarria della storia.


Arturo

8 commenti:

loziodiholloway ha detto...

Si comincia col mettere sullo stesso piatto maggioranza e minoranza.. si finisce col dire che “al giorno d’oggi, mia cara signora” destra e sinistra sono la stessa cosa (come hanno fatto due tristi impiegati della politica leggendo la loro lista della spesa a casa di un insipido ospite e del suo, a sua volta, ospite, il nuovo arrivato, a propos, benvenuto anche a lui nel modo dei lustrini, dei cotillon e dei cotechini dei maitre a penser.. cioè dico maitre, mi porti del penser che il mio l’ho posato all’ingresso col cappello.. lì, a sinistra..) e si finisce “che non ci sono manco più le mezze stagioni, mia signora..” e allora celebriamo la sconfitta della nostra epoca che è meglio l’etilismo dell’elitismo..

Ma perché?

Con affetto,

Unknown ha detto...

Ciao Zio,

io non penso affatto che destra e sinistra siano la stessa cosa. Penso, se mai, che ci possano essere modi penosi di essere di sinistra e modi dignitosi di essere di destra (e viceversa, ovviamente). E, seppure con qualche dubbio, ho l'impressione che i modi siano spesso decisivi nel confondere le acque e nel dare la sensazione che non ci sia troppa differenza.
Su maggioranza e minoranza, trovo che spesso ci si accomodi da una parte o dall'altra perché è l'abito che si indossa meglio, senza guardare troppo i contenuti. E che sono analoghe, per la loro natura di gruppo, nello schiacciare, potenzialmente, i singoli individui.
Poi, anche se non leggo Kant la sera, sto tutta la vita dalla parte del Torino.

Tra l'altro, mi ha fatto molto ridere la tua descrizione di chi ha posato il penser con il cappello: quello mi sembra un ottimo esempio di chi si accontenta di compiacere un pubblico, minoritario quanto vuoi, ma nemmeno troppo, che gli darà sempiterna ragione, altro che inceppo negli ingranaggi.

Piuttosto, è da un po' di tempo che volevo coinvolgerti in una dialettica su "chi sa scegliersi la parte dietro la Linea Gotica", perché mi pare di avere letto alcuni tuoi commenti abbastanza acri da qualche parte. La mia posizione è in sintesi questa: preferisco non essere d'accordo con lui, che essere d'accordo con il maitre di cui sopra... ;)

Affetto ricambiato.

loziodiholloway ha detto...

Ciao Arturo,

Anch’io disprezzo le autoproclamatesi minoranze intellettuali di piccoli uomini che agiscono per vanità o interesse personale, temo i giustizialisti colmi di resentment e provo pietà per il maitre.. lo trovo il miglior prodotto della fabbrica del consenso, rimasto intrappolato nel circo mediatico autoreferenziale come un qualsiasi allocco attratto dalle insegne luminose del riconoscimento.. appaio (in televisione), ergo sum..

Rido in generale delle false minoranze degli intellettuali di sinistra.. organici sì, ma al sistema.. necessari alla messa in scena della società dello spettacolo così come la impone l’ideologia del tardo capitalismo.. la cosiddetta postideologia, che tende a pacificare ogni conflitto in nome del (falso) progresso materiale..

Ma proprio per questo mantengo le fondamentali e necessarie e direi quasi ontologiche differenze tra destra e sinistra (mai trovato un modo dignitoso di essere di destra..) e, foss’anche per una mera questione di posizionamento tattico, sostengo la necessità storica delle minoranze, avanguardie portatrici di una egemonia culturale “altra”, funzionali al conflitto sociale, schierate contro la dialettica dell’illuminismo che tende a pacificare..

Detto questo, chi sa scegliersi la parte dietro la Linea Gotica rimane per me chi resiste al potere, e non chi partecipa da (pseudo) antagonista dialettico al suo ballo.. chi lotta per riappriopiarsi dell’ideologia attraverso il conflitto (culturale), e non chi lotta per il riconoscimento, mediatico di sè e storico dell’altro..

Un abbraccio,

PS. Scusa per la prolissità e la marea di stronzate, se hai voglia di continuare questo scambio sui nostri posizionamenti, molto volentieri..

Unknown ha detto...

Ma che scusa, è molto bello partire dal calcio per arrivare chissà dove, come del resto partire da chissà dove per arrivare al calcio (secondo me, è merito del taglio di "genere" dei blog calcistici).

Tu scrivi di false minoranze organiche al sistema. Credo sia proprio quello il punto. Fanno tragicamente ridere i toni melodrammatici di chi esecra il sistema in cui è a pieno titolo coinvolto, come se il sistema esprimesse solo la maggioranza becera e non, nella stessa maniera, la minoranza illuminata.
Magari su questo non sarai d'accordo, ma si tratta anche di verificare se e in che misura questo sistema sia poi da esecrare. Tutto sommato, forse non è poi così male se esistono anticorpi alle sue possibili degenerazioni, se non si lapidano donne in piazza, se si può dire che non c'è democrazia senza morire (che è la miglior riprova che democrazia ci sia), e così via. Certo, è opacamente competitivo, classificativo (nel senso di classifica, non di classe), prevedibile come il campionato italiano, ma non è che di queste condizioni ne beneficino meno U. Eco o Scalfari che Berlusconi (per esempio).

Magari mi sbaglio, ma per questo credo che la dialettica più feconda oggi sia non tanto tra destra e sinistra o tra maggioranza o minoranza, ma tra individuo e gruppo. Questa può sembrare una considerazione banale, ma molte cose sono molto più complesse di quanto ci vogliano far credere; invece, i nostri prodigiosi mezzi di informazione formano schieramenti inverosimilmente compatti (da una parte antiberlusconiani, antinuclearisti, pacifisti, contro la riforma della giustizia, contro la riforma dell'università, propalestinasenzaseesenzama, adesso anche attenti alla morale sessuale, etc.; dall'altra berlusconiani anche se lo vedessero all'opera come serial-killer, col reattore al posto della caldaia, per cui la riforma della giustizia e dell'università sono testi sacri e intoccabili, proisraelesenzaseesenzama etc.).

Contro questi meccanismi, a mio modo di vedere, autentico antagonismo e resistenza sono la stessa cosa. E ritengo molto più prezioso chi, con un movimento dissociato, spariglia le carte (in ipotesi, anche le mie) di chi si sceglie sempre il pubblico adatto per gli applausi.

loziodiholloway ha detto...

Caro Arturo, due o tre cose con le quali non sono e, con tutta la buona volontà, non riesco a essere d’accordo..

Sul sistema da esecrare o meno.. Non solo non viviamo nel migliore dei mondi possibili, ma probabilmente nel peggiore (questo poi non vuol dire che ci si possa divertire lo stesso..) E’ un sistema malato e destinato al collasso proprio perché, tendendo a pacificare i conflitti, annulla gli anticorpi.. diamo per scontato che ci siano i ricchi e i poveri, e non perché lo meritino ma perché lo sono di nascita.. diamo per scontato che Juve, Milan e Inter ottengano dalle televisioni tre quarti dell’intera torta dei diritti televisivi e siano loro a vincere lo scudetto (e forse, una volta ogni dieci anni, può esserci la sorpresa..) ma siccome possiamo dire, scrivere, gridare, dimostrare che è ingiusto.. allora ci sentiamo liberi.. La truffa è proprio lì.. ti fanno sentire libero di criticarli, ma poi tanto vincono loro.. altro che democrazia..

Sulle pratiche “altre”.. Lapidare le donne in piazza, bruciare le vedove in falò rituali, intervenire chirurgicamente sui loro organi riproduttivi sono antichi e millenari sistemi di controllo sociale patriarcale.. contro cui bisogna combattere in quanto tali e non perché, diversi dai nostri, non li comprendiamo e ci spaventano.. Tra queste pratiche sociali e la chirurgia estetica porno soft del primo pomeriggio televisivo occidentale non c’è differenza.. E’ come minacciare un arbitro con la pistola a Tashkent o promettergli la Fiat 600 a Torino.. il risultato è lo stesso..

Infine, sulla dialettica tra gruppo e individuo.. non la comprendo, perché non so cosa sia l’individuo.. l’uomo è animale sociale, costretto dalla sua chimica organica a vivere in gruppo, siamo scimmie con il 96% del DNA uguale agli scimpanzé.. l’individuo mi pare una moda passeggera, figlia del tedio borghese che porta all’astrazione di concetti metafisici privi di significato.. come il trequartista nel calcio anche l’individuo non esiste.. Nel calcio si può giocare solo in gruppo, passandosi la palla.. i movimenti devono essere collettivi, mai individuali.. nemmeno Gattuso, che da tempo ha oltrepassato la condizione umana, riuscirebbe a giocare da solo..

Sulla dissociazione però sono d’accordo, a partire dalla propria..

Unknown ha detto...

Caro Zio,

sul sistema. Può darsi che sia il peggiore, sinceramente non saprei pronunciarmi in via definitiva. Però, ed era questo che più mi premeva dire, ammesso che lo sia, non riesco a comprendere la c.d. "alternativa organica". Perché, delle due l'una: o il sistema fa schifo, e allora è inutile stare a preoccuparsi troppo di chi comanda; oppure non è male, ma la conclusione è la stessa.

Sulle pratiche di controllo, è chiaro che vanno combattute in quanto tali e non perché sono "degli altri". Non c'è nessuna differenza tra combatterle e combattere il penoso razzismo da disinfezione dei treni.

Poi, e qui evidentemente non siamo d'accordo, l'unico conflitto che riesco a ipotizzare è quello individuale. Magari quella di individuo è un'idea astratta, ma forse quando viene prevaricato, oppure quando esercita il dissenso, acquista una sua concretezza.

Non mi piace molto il dissenso organizzato, invece, perché finisce per riprodurre, e con l'aggravante della goffaggine, le stesse logiche che vorrebbe combattere, e quindi non dissente proprio nulla.

Però devo ammettere che con la metafora calcistica mi freghi. Non mi resta che aspettare che Jefferson Farfàn, il mio giocatore preferito del momento, ti smentisca, con un'azione indipendente, infungibile, libertaria e autenticamente rivoluzionaria, soprattutto perché rivolta contro la nostra c.d. alternativa al sistema, nei prossimi quarti di finale..

donnie ha detto...

posso puntigliosamente far notare che la Tragedia di Superga fu nel 1949 e non nel '47? da tifoso del Toro devastato dalla malasorte (calcistica), mi sia concesso.
bell'articolo, comunque

Unknown ha detto...

Si Donnie, grazie della correzione, rimedio subito.