venerdì 3 dicembre 2010

In difesa di Ezequiel

Avevo preparato tutto, studiato coincidenze, disinnescato variabili, per lunedì sera. In genere il lunedì sera non sono mai a casa, per questioni sportive ma non calcistiche, e poi è bello uscire il lunedì sera, le strade sono vuote e l’inverno se ne approfitta.
Ma questo lunedì sera avevo o simulavo un dolore alla schiena che mi avrebbe costretto in casa e perfino il frigorifero, che in genere decide lui cosa io debba mangiare, crosta di parmigiano o torta, era organizzato per non indurmi a repentine fughe verso il supermercato, il cui orario di chiusura ormai si prolunga a tempo indefinito nella notte.
Perfino il gatto era avvertito, che mi avrebbe dovuto cedere il suo posto sul divano.
Invece imprevista è arrivata una telefonata, per un impegno che io non avevo preso, ma altri avevano preso per me, e dicendomene interiormente di tutti i colori ho confermato la mia presenza. Tutto saltato, il frigorifero semipieno per nulla, l’alterazione del piano quinquennale del gatto. Ho pensato di lasciargli la televisione accesa, perché potesse godersi lui la partita, con quello sguardo furbo e imbecille, ma ho desistito, i gatti sono pieni di impegni.
Per la verità, lunedì sera mi sono divertito comunque, ma mi sono perso el partido del siglo (siglo veinte y uno, per dirla con un cantante terzomondista). Eppure, la risonanza dell’evento è stata tale da risolvere una piccola impasse in cui mi trovavo.
Da qualche tempo, avevo in mente di scrivere un post, ma non riuscivo a trovare una giustificazione valida per scriverlo, una giustificazione stilistica intendo. Già questo mi destava sospetti sull’intrinseca irrilevanza del suo oggetto, che infatti, dopo qualche distratta considerazione, è stato subito sopraffatto dalle attualità prepotenti del giorno dopo, prepotenti perché più interessanti, va da sé.
L’oggetto di questo post che non riuscivo a scrivere era ed è il gol di Lavezzi nella partita col Milan. Questo che sto scrivendo non è, con ogni probabilità, il post sul gol di Lavezzi, ed è quindi segno tangibile di una leggera sconfitta. Avevo pensato in un primo momento di scriverlo partendo da quel fermo-immagine, descrivendo i punti di vista dei soggetti coinvolti nella scena. “Che cosa pensano i giocatori quando segnano” è il verso che mi è sempre piaciuto di una certa canzone. Ho scartato l’idea perché mi sapeva troppo di gioco di incastri alla C. Nolan. Vita breve ha avuto anche l’ipotesi si citare affettuosamente l’inizio della prima storia di Corto Maltese, il post sarebbe iniziato grossomodo così: “Sono il pallone da calcio e sono quello che sta sospeso a mezz’aria”.
Dopo non aver visto il main event di lunedì sera, la confusione mi si è in qualche modo schiarita. Prodigi del tiqui-toque. Forse è l’ennesima riprova dell’inadeguatezza del gol di Lavezzi, mentre gli argomenti del Barcellona sono stati la quadratura del cerchio. Per dirne una, il gol di Lavezzi è stato inutile, il Napoli perdeva due a zero e alla fine ha perso due a uno. Il Barcellona ha vinto una sfida molto attesa, in cui entravano etnie, concezioni del calcio e del mondo, refoli di vendetta (a proposito, ma non potevano esibirsi in questo spettacolo giusto qualche mese fa, così per lo meno avremmo evitato il lieto orrendo fine del sogno Morattiano?).
Però c’è una cosa che vorrei dire: io questa partita non l’ho vista, eppure l’ho vista. Tale è stata la risonanza, tanti gli stralci su you-tube, tanto lo sbigottito clamore che, sono sicuro, tra qualche anno, quando questa partita sarà storia, appunto perché passata alla storia, io potrò dare a bere di averla vista, di esserne stato partecipe: basterà rammentare le verticalizzazioni vertiginose di Iniesta, il funambolismo di Messi, i tacchi, le giravolte, il possesso di palla esteso al di là della noia. Forse allora penserò di averla vista sul serio, se nel frattempo sarò rincoglionito il giusto. Sarà come capitare in uno scompartimento di treno mentre tutti parlano di Harry Potter: se uno vuole stare al passo coi tempi deve avere le cognizioni minime su Albus Silente. Con la differenza che quello di Guardiola è davvero un capolavoro, ci mancherebbe.
Ma è qui che il gol di Lavezzi si prende la sua piccola rivincita. Col passare del tempo, la prestazione galattica del Barcellona si confonderà nel ricordo di chi c’era e nel non ricordo di chi non c’era, per diventare un simbolo, un paradigma, l’elevazione massima di un certo modo di giocare, la panna che affiora sulla superficie del latte. Il gol di Lavezzi, se uno non lo ha visto, non lo può ricordare.
E siccome verrà un tempo in cui il tempo sarà troppo o troppo poco e della memoria sfuggiranno la sintassi, l’architrave e il discorso, allora mi aggrapperò ai mattoni e ai ricordi, ai relitti sul mare buio, e potrò ringraziarti Ezequiel, perché sarò sicuro di averti visto, di averti visto davvero.


Arturo

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