
Per affrontare la questione Montolivo, inopinatamente marginale sulla scena della cultura europea, si deve partire da una zona assai distante dell'immaginario calcistico, un campo di detriti, il greto di un fiume inaridito, come pali arrugginite stecche di ombrelloni, su cui si forse si infranse il naso del giovane F. Battiato (Ionìa, 1945).
Molti anni più tardi, nel 2000, questo giovane calciatore, diventato cantante, pubblicò un album tra i suoi più ostici: Campi Magnetici. Nella traccia numero 2, il filosofo di Lentini che si cura dei testi recita, più o meno così: "E' la matematica il linguaggio odierno, non le grida scomposte. Essa è il coro dei sopravvissuti, il latino con cui l'uomo d'oggi celebra la liturgia dell'estinzione, senza capirci granché. I numeri non si possono amare".
Ciò cui M. Sgalambro (che non è l'allenatore del Còmiso) si riferiva era, al di là di ogni ragionevole dubbio, il mutamento epocale che ha consentito, da un certo punto in avanti, ai giocatori di scegliersi il numero di maglia tra l'uno e il novantanove.
Con ogni probabilità, il motivo della liberalizzazione è stato, più che la benevolenza verso l'estro esoterico dei calciatori, il necessario adattamento numerologico al turbinio delle campagne acquisti: se prima una squadra aveva undici titolari e una manciata di riserve più o meno stabili per tutto l'anno, oggi dispone, come dimostra il percorso pirandelliano di Nick "Dinamite" Amoruso, di un numero potenzialmente illimitato (o meglio, indefinito) di atleti, a seconda della potenza economica dei presidenti e dei fallimenti di inizio stagione.
Quindi, sono leciti l'ala sinistra col numero 53, o il mediano col 46, se c'è da rinviare implicitamente all'articolo della Costituzione preferito, all'indirizzo della fidanzata, a quella volta che andò bene alla roulette.
Nel calcio prima della Babele dei numeri, si coglieva con maggior precisione e, forse, non senza un certo gusto, l'inspiegabile corrispondenza tra senso e segno nell'attribuzione dei numeri di maglia. Il sette dell'ala destra, il tre del terzino sinistro, il nove del centravanti non erano una rigida limitazione delle tattiche possibili, ma l'identificazione immediata tra numero e zona di campo, il bagaglio delle competenze, i ferri del mestiere, una messa a fuoco del talento.
A riprova del fatto che una libertà senza limiti è una libertà limitante, solo con la base undecimale erano concepibili trasgressioni e anomalie, a partire dagli inafferrabili "nove e mezzo", di cui qui si ha un magnifico esempio, per finire con l'oggetto di questo post, ovvero l'enigma del numero 5.
A rigore, il 5 era ed è il numero dello stopper, del difensore centrale. C'è però una tipologia di giocatore che può a buon diritto ambire a questa maglia.
Si tratta di quel centrocampista che non gioca immediatamente a ridosso delle punte, come il dieci, ma che neppure può confondersi coi frangiflutti di fronte alla difesa, per vocazione il quattro e l'otto (otto è stato, per esempio, Marco Tardelli).
Questo giocatore ha la vista in grandangolo, perché vede il campo a 360°. Con i suoi passaggi, decide cosa fare dell'azione, se calmarla o votarla all'attacco. Oppure, porta a spasso la palla, perché nessuno può staccargliela dai piedi.
Se questo giocatore esiste, non può essere un felliniano otto e mezzo, perché dovrebbe avere qualche tratto del centravanti, cosa che invece gli manca.
Potrebbe essere un quattro e mezzo ma, a parte l'inesatta commistione con il difensore centrale, il suo valore aggiunto non può essere limitato a una frazione, ma deve attingere a un'unità in più: lui è il quattro più uno, il 5. Accade allora, in un'ipotesi del genere, che lo stopper retroceda e giochi, eccezionalmente, con la maglia numero quattro.
Nel campionato italiano, giocatori che corrispondono a questo identikit sono A. Pirlo (Milan), D. Marcelo Pizarro Cortés (Roma), R. Montolivo (Fiorentina). In Europa, vengono in mente C. Fabregas, S. Gerrard e X. Hernàndez Creus in arte Xavi, rispettivamente Arsenal, Liverpool e Barcellona (c'è chi direbbe Xabi Alonso, Real Madrid, ma a me pare una pippa).
Come archetipo, manco a dirlo, Paulo Roberto Falcao.
Perché il cinque, verrebbe da chiedersi.
Pur non essendo il numero centrale tra i primi undici (tale è il sei), il 5 sembra racchiudere in sé un irresistibile principio di confluenza. Non è un caso che lo si attribuisca a quei calciatori attraverso cui passa costantemente il gioco della squadra. La mente e il cuore, o la mente trasportata dentro il cuore, ciò che ispira e muove l'arto che realizza. Per essere il centro, il 5 può giocare dappertutto; allora non è lui che è fuori posto, ma vuol dire che il centro si è spostato, e tutti devono organizzarsi di nuovo intorno a quel motore itinerante.
Arturo
6 commenti:
Bellissima riflessione Arturo. Qualche sensazione sparsa:
- anche per me (penso che tu lo condivida) con la scomparsa dei numeri da 1 a 11 si è perso molto. Prima c'era un'identificazione ontologica giocatore-ruolo-numero, oggi è tutto lasciato al marketing. Anche il 16, per dire, aveva un suo perchè (l'attaccante di riserva). Penso poi a tutti i numeri minuscoli del Subbuteo che ho attaccato con grande fatica sulle schiene dei pupazzetti.
- Si è provato sporadicamente a ricreare questa magia anche nel calcio post-numero libero, per esempio c'era un periodo in cui il fantasista di riserva era il 20, l'attaccante di riserva il 18 o il 19, e così via, ma è stato un fuoco di paglia. Alcuni nuovi numeri sono rimasti -per me, ad esempio, il 24 è solo Marco Delvecchio-, ma molte altre cose sono state deprecabili, come gli attaccanti col 2 o col 3 (a memoria ricordo Cerbone e Kallon) e i portiere col 10 (Lupatelli?).
- Bellissima l'idea metafisica dell'essere sospesi tra due numeri (grazie per la citazione del Principe) o la possibilità di snaturare un numero in certi ambienti. Tu hai fatto giustamente centro con il 5 alla Falcao, ma penso anche all'8 da centravanti inglese vecchia maniera, decontestualizzato.
- Infine, su Montolivo: vuoi vedere che il 5 è per lui non il suo ruolo ma il suo voto? Perchè sembra sempre che gli manchi qualcosina per essere sufficiente..
Un saluto affettuoso come sempre e a presto.
Talvolta i numeri divengono anche intuizioni: pensate a Pirlo, retrocesso dai fasti del numero 10 al 21.
Di lì la necessità ancorchè il deisiderio di reinventarsi, già nell'età della maturità, un calciatore nuovo ovvero, decontestualizzandolo, un homo novus.
Di lì nasce la necessità di crearsi un frasario essenziale per sopravvivere al di fuori del 10 e, dunque, di un contesto ben preciso.
Il risultato nel caso in esame lo conosciamo tutti.
...magari se si fosse continuato a lasciare i numeri dall'1 all'11, identificativi del ruolo e della posizione in campo, forse la Juventus e Secco avrebbero evitato di continuare a comprare "mediani di rottura" nella vana speranza di acquistare un regista di centrocampo!!! eh eh eh
Eddie
Caro SD, sembrerò radicale, ma potendo scegliere tornerei anche alle casacche anonime.
Peraltro, pensandoci meglio, sarebbe inevitabile, con l'antica numerazione. In caso di infortunio o cambio tattico, cambierebbe il giocatore, ma non la maglia.
In questo senso, sarebbero anche più visibili le trasformazioni di cui parla TATO perché chi da centrocampista si trasformasse in difensore centrale, per esempio, "diventerebbe" necessariamente il 6.
Per quanto riguarda le bizzarrie recenti, aggiungerei anche l'1+8 di Zamorano, rammentatomi oggi da Eddie. Mi chiedo allora perché non approdare a una radice di 81, che farebbe senz'altro anche il suo bell'effetto di marketing.
Per quanto riguarda le stranezze metafisiche, sto provando a ricordare qualche centravanti inglese atipico. Può essere che Platt giocasse con l'otto?
Ecco, Montolivo, bel mistero. L'idea di Prandelli è stata quella di trasformarlo in un "5" ideale. Nel suo schema, è affiancato infatti da un solo centrocampista di rottura.
La mia impressione è che forse lui renderebbe meglio da "10". Lo schema di Prandelli lo costringe a sfiancarsi in un lavoro massacrante. Le poche volte che l'ho visto giocare venti metri più avanti, con due mediani alle spalle, mi è sembrato che potesse veramente esprimere le sue qualità, che a mio parere sono notevoli.
Certo, questo implicherebbe un cambiamento del granitico 4-2-3-1 cui Prandelli è tanto affezionato (è questa cocciutaggine forse un limite del Wenger italiano).
Messo lì (anche) a fare legna, spesso si impantana in prestazioni scadenti, è vero, però qualche volta, specie se emancipato da un Donadel in più, ho rivisto i tratti del miglior Rui Costa (che ci volete fare, ognuno fa i conti coi ricordi che ha).
Eddie, quanto agli acquisti di centrocampo della Juve, vista l'overdose di qualità, verrebbe da dire che il loro numero è il 3,5 cioè qualcosa in meno del 4 ;-)
Pensavo a gente come John Sheridan, Sheffield Wednesday, number 8. Che giocatore. Che gol. Che pantaloncini.
http://www.youtube.com/watch?v=d21dnMXhjrU
Classe impagabile, in effetti!
Peraltro, come mi è stato fatto giustamente notare, Platt, più che un attaccante decontestualizzato, era un centrocampista con una notevole propensione al gol.
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