
Prima della Convenzione di Fusignano, su cui fiumi di inchiostro sono stati gettati da una letteratura fin troppo indulgente con le suggestioni medievalistiche, le difese delle squadre di calcio non stavano rigide come doghe di legno a metà prezzo, schierate in linea come un plotone di esecuzione, a contarsi i millimetri di dietro come per l'abito da sposa.
Almeno nel campionato italiano, la svolta concettuale sugli assetti difensivi si è avuta con il fantascientifico (per allora) Milan della seconda metà degli anni ottanta (che annovera tra i suoi antecedenti il c.d. calcio totale olandese). Da quel momento in poi, il rettangolo di gioco è diventato materia elastica, accorciabile quanto si vuole, nella propria metà campo potendosi tracciare la linea virtuale tra ciò che sta dentro e ciò che sta fuori dal gioco.
In uno stato di esaltazione geometrica, si definisce diagonale il movimento con cui l'esterno di difesa recupera sull'attaccante avversario che sia riuscito a eludere il controllo dei difensori centrali.
Nella ricerca ossessiva della sottigliezza si è però forse smarrita la figura del numero 6.
Il 6 era, nel sistema undecimale, il difensore non immediatamente investito dei compiti di marcatura. Portava il nome del cane di una vecchia canzone di F. De Andrè.
Il libero, che invece oggi è diventato un giornale sempre molto sereno nei giudizi, era per sua stessa natura retrostante e schivo. Guardava il gioco svilupparsi da dietro la cortina dei marcatori, con un senso di estraneità simile a quello che deve provare il portiere, ma diverso perché lui era un estraneo tra i simili, mica scendeva in campo indossando un pigiama.
Il libero era l'ultimo baluardo e l'ultima speranza. Al libero non serviva troppa forza, il suo dilemma era lo spazio, farsi trovare sempre pronto nel luogo delle scelte, dei crocevia senza ritorno.
Oggi, il fuorigioco sottende l'idea che difendersi è affare per deboli; la sua applicazione oculata consente infatti di evitare ogni assalto. Anche quando fallisce, si tratta di inseguire l'avversario che scappa, un po' come un ladro che ci ha fregato l'argenteria, non di sentirsi chiusi, oppressi, misurarsi davvero con un pericolo, intenderne le dimensioni e gli sforzi per sormontarlo.
Il libero aveva questo tratto inconfondibile impresso nel nome, nel suo incedere petto in fuori e palla al piede, incurante delle forze avverse, per trainare la squadra fuori dal pantano. Non che pretendesse per sé molta gloria: il più delle volte, scampato il pericolo, passava la palla a chi di dovere e se ne tornava indietro, nel suo cono d'ombra.
Si racconta di calciatori di enorme talento (tra questi, Juan Alberto Schiaffino, nella Roma) che, fiaccati dall'età o dagli infortuni, giocarono le loro ultime stagioni da libero, in un ripiegamento estremo, in un pensoso tirarsi fuori dalla ribalta, come se davvero alla libertà si possa arrivare solo a tempo (quasi) scaduto.
In Italia, l'ultimo grande interprete del ruolo è stato probabilmente Gaetano Scirea.
A partire dalla svolta Sacchiana, tracce dell'antico numero 6 forse ancora sopravvivono nella distinzione tra chi è regista di difesa e chi non lo é: cambiate le operazioni, ci deve pur sempre essere qualcuno che le comanda e le premesse di una buona difesa, come ripete sempre Eddie, stanno tutte nel giusto assortimento tra i due difensori centrali.
Tratti del vecchio stile resistettero in Franco Baresi, seppure protagonista di quello storico Milan. Del resto, l'autorevolezza delle sue cavalcate trovava preciso riscontro nel segnale di sospensione dell'incredulità con cui, alzando il braccio, chiamava il fuorigioco e tutti, a cominciare dall'arbitro, se la bevevano, senza nemmeno essere sfiorati dal dubbio.
Qualcosa, oggi, in quel che resta di Nesta.
O in tutte quelle volte che le cose non tornano e si è sotto assedio, ma uno esce col petto in fuori dalla battaglia e si porta via lontano il pallone.
Arturo
6 commenti:
Mi è sempre piaciuto quel fenomeno cui tu accenni di giocatori che col passare degli anni indietreggiano sempre di più, fino a cambiare di area di rigore. Perchè più si indietreggia meno si corre (tratto essenziale del libero è quello di non doversi stancare). Penso su tutti all'ultimo Ciriaco Sforza nel Bayern Monaco.
Citando anche un personaggio del tuo ultimo post, l'ultimo vero libero che si è avuto in Italia è stato Badra del Genoa, memorabile autore di lanci di cinquanta metri (con il mio amico Andrea ci è rimasto il tormentone "Badra, imposta lui", detto con tono compassato alla Cerqueti, con cui accompagnamo qualsiasi cambio di gioco dalla difesa). Per me, infatti, è ontologica al libero/numero 6 l'ossessione per sventagliate a tutto campo, raramente imprecise (il libero infatti ha piedi dolcissimi).
Mi rimane un dubbio: l'ultimo Veron, quello dell'Estudiantes, può essere classificato come numero 6 o piuttosto come "semplice" numero 4 basso?
Saluti e grazie per continuare questi esercizi pitagorici applicati al calcio.
il libero è rimasto nel calcio dilettantistico, spesso pelato e con pizzetto. è il giocatore esperto per eccellenza.
Il primo in italia a giocare a zona fu maifredi con l'ospitaletto e poi nei tre anni a Bologna. Poi sacchi, poi il diluvio....
Forse gli ultimi sgoccioli di squadre anni 80 (tatticamente parlando) vincenti si sono visti col parma di scala, con lorenzo minotti e "mascella d'avorio" George Grun.
La Lazio aveva cercato quel tipo di numero 6 da impostazione in Paul Okon, uno dei tanti oggetti misteriosi griffati Zeman...
Una delle poche belle cose che ci ha donato l’introduzione del numero personale nel calcio è certamente la possibilità di poter “ritirare” un numero quando l’importanza e la grandezza del giocatore in qualche maniera meritino tale rispetto ed onore. In questa chiave di lettura, è singolare costatare che il numero maggiormente ritirato dai club di tutto il mondo (dopo il 12 dedicato ai tifosi!) sia proprio il 6 forse proprio per questo singolare connubio tra eleganza degli interpreti e prolungata militanza nella squadra (con annesso arretramento di posizione in campo) chiari esempi sono: Genoa (Signorini), Milan (Baresi), Roma (Aldair) West Ham (Bobby Moore).
Il regista difensivo è un ruolo che mi ha sempre affascinato parecchio, come ho sempre osservato con singolare stupore le carriere di grandissimi ritrovare fulgido e folgorante splendore alcuni metri di campo più indietro: Lothar Matthäus, il già citato Ciriaco Sforza e Mathias Sammer sono ottimi esempi.
Poi c’è chi, al contrario, nel ruolo di numero 6 ci è arrivato per caso, ma i cui risultati in qualche modo ne hanno segnato la futura carriera come Mihailovic (nato ala o terzino).
E’ curioso infine costatare come, a volte, lo spostamento di qualche metro indietro sul campo da gioco, (anche se non dietro la linea difensiva!) ha determinato proprio il nascere di una grande carriera, come per Pirlo e Desailly o il finale di Ruud Gullit che nella sua esperienza alla Doria, più come 4 che come 6, partendo dalle retrovie pareva “come cervo che esce di foresta”.
Eddie
Perdonami l'intrusione, ma non sono d'accordo. Ritirare i numeri è un'americanta aliena al mondo del calcio.. fatto di numeri che richiamano posizioni, ogni generazione deve avere il suo dieci da amare o un nove da maledire quando sbaglia il gol.. penso che non ci sia nulla di bello nelle maglie personalizzate, anzi direi che sono state allegoricamente il momento del passaggio di testimone dal calcio delle maglie a quello dei giocatori.. si è ribaltato il principio.. da lì è nato quell'orrore che ha portato ai CR9, alla brandizzazione del giocatore.
In effetti, un modo per distinguere un autentico libero da un semplice difensore centrale è proprio quello di osservare la sorte dei suoi lanci lunghi. Se si incollano alle caviglie dei destinatari, bene, se vanno verso le insegne pubblicitarie si è buoni solo per incollarsi alle caviglie degli avversari.
Per quanto riguarda la questione del ritiro maglie, io sarei un sostenitore della maglia pura, solo numero. Però, visto che ormai siamo nell'irreparabile, l'omaggio a giocatori eccezionali può avere un suo significato. Solo se eccezionale, appunto: l'impressione è che non si debba mai perdere l'occasione per un'esposizione di buoni sentimenti.
Ma in queste vostri commenti ci sono tre immagini da fermare: il libero attempato nelle partite di calcetto, figura direi quasi sacrale, deposito di ogni saggezza, come chi sa sempre qual è il momento dello spariglio a scopone; Vujadin Boskov, che immagino a trascorrere la sua vecchiaia tra bottiglie di brandy in una roulotte con l'idromassaggio mentre il grammofono spara musiche balcaniche; l'insostenibile pacatezza di Cerqueti, che in tandem con Collovati, riesce a innervosire qualsiasi vittoria e a rendere le sconfitte più amare di qualsiasi cicuta.
Oggi, chi è retrocesso è Matias Almeida. Che nel River Plate sta giocando in un ruolo molto simile a quello che fu di Matthaus.
Destino contrario quello del ritirato Luis Enrique: attaccante nel Gijon, sempre più arretrato nel Real Madrid (spesso me lo ricordo addirittura centrale), di nuovo sempre più avanti nel Barca.
Infine, sottolineo che Alan Smith (ora al Newcastle) è quasi il grande ritorno del libero (mancano solo 5-6 metri).
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