
Una recente vicenda, a metà strada tra il giuridico e lo sportivo, ma ben posteggiata in prima fila nel ridicolo, ha riportato alla memoria, non in quanto apostrofato con l'appellativo di porco, ma in quanto giocatore di un certo rilievo nel calcio italiano, Ramon Angel Diaz, classe 1959.
Quando le maglie erano vintage, questa specie di gaucho dal profilo adunco rese i suoi servigi, proveniendo dal River Plate, nell'ordine a Napoli, Avellino, Fiorentina e Inter. In particolare, il suo ruolo di centravanti atipico, rapinatore d'area ma anche robusto fisicamente, ebbe un peso decisivo nella vittoria dell'Inter nel campionato 1988/1989.
Diaz, come ogni argentino, ha lasciato un tratto riconoscibile nell'immaginario calcistico. Nelle pieghe del suo volto si intravedono spazi percossi da luce violenta, c'è la serafica calma nella preparazione del mate, c'è sicuramente l'uccisione rituale di un toro. I lineamenti di Diaz hanno la stessa eleganza e compostezza furiosa di quelli di Luis Cesar Menotti, le loro mani sono ugualmente abili nel maneggiare libri di versi e coltelli.
Gli argentini praticano l'eroismo, sanno resistere alle tentazioni della ribalta. Ai suoi tempi, Gabriel Omar Batistuta era meglio di Luis Nazario de Lima Ronaldo, anche se non sapeva dribblare. Si è concesso una deroga sul finire della carriera, giusto per sapere la vittoria cos'era; forse ha pure cercato, come contrappasso, una fine ingloriosa, finendo nel ripostiglio delle scope dell'Inter.
Possono essere bassi, grassi, zoppi, ma scorre nelle loro vene un talento incurante dell'ovvio calcistico, giocano sull'orlo dei baratri, seguono nel dribbling, se dribblano, la figura base del tango.
Poi c'è chi preferisce i libri di Paulo Coelho, oppure la capoeira, e dunque i calciatori brasiliani.
Il Brasile tira nel calcio come la Nuova Zelanda nel rugby, sono quei luoghi comuni da cui non si scappa: mettete un "ihno" in coda a Daniele Conti e sarebbe già al Real Madrid. Dribbling, tunnel, ghirigori, saudade, carnevali, cose viste e riviste.
A ben guardare, brasiliani davvero epici ce n'è e ce ne è stati pochi. Non appena qualcuno vale l'apparenza di qualcosa, la retorica brasileira ne fa una specie di figurante da circo, innocente bambino, predestinato alla gloria.
Verrebbe da dire che la salvezza è, per i brasiliani:
1) nell'essere atipici: tali sono stati Paulo Roberto Falcao, centrocampista della Roma con il numero 5, roba da far girare la testa agli appassionati di numerologia, e Arthur Antunes Coimbra detto Zico, per aver scelto inspiegabilmente il Friuli e una casacca bianconera griffata AgfaColor; così forse è, nella sua linearità senza fronzoli, Ricardo Izecson dos Santos Leite Kakà, anche se l'approdo in quell'utilitaria del Real Madrid non gli sta certo giovando.
2) nel conoscere la decadenza. Tutte le mirabolanti imprese di Luis Nazario de Lima Ronaldo, quando era una specie di Pelè (E.A.d.N.) con le gambe di Usain Bolt, non valgono insieme il gol segnato al ritorno dall'ultimo infortunio e dallo sputtanamento mondiale per le sue avventure sessuali: costipato di lardo e tossine, se ne va a colpire di testa su quel calcio d'angolo, guidato solo dalla forza di un inesauribile talento.
Brasile dunque o Argentina?
Ognuno, per citare un cantante che si è sempre schierato, ha l'immaginario (calcistico) che si merita.
Arturo
2 commenti:
Caro Arturo,
il legame che ci lega ai gauchos è innegabile come innegabile è il fascino tutto carioca del gioco come intimo piacere di gioia con il pallone tra i piedi.
Trovo che i giocatori dell'Albiceleste, un po’ come i loro antenati spagnoli, intendano il gioco del calcio in modo più simile a noi italiani, basti pensare a Passarella, Simeone e Samuel. Al contrario i Verdeoro hanno regalato spesso sognatori con un pallone tra i piedi come Romario, Rivelino e Bebeto, campioni per i quali l’importante era giocare e non come e con chi…
Accanto a questi fantastici esempi mi vengono in mente i cosiddetti atipici, coloro i quali il destino o il fato decide di lasciare spuntare e crescere così a caso un pò dove capita, e qui mi sovvengono i vari Diego M. e Messi da una parte ed il simpatico anticonformista Taffarel che ha mostrato al popolo brasiliano che oltre la samba, la saudade e i colpi di tacco esistono anche i portieri..
Eddie
Mi perdonerete se intervengo fuori tema, però devo esprimere la mia solidarietà ad Arturino, che al momento sanguina viola...
Sapevamo che in questo periodo gli arbitri non prediligono i gigliati, ma è probabile che persino gli dei, vista la partita di ieri sera, si siano messi di traverso.
Speiamo almeno che tifino Inter!!
Saluti felini.
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